Non basta abbattere il muro
C'è tutto un lago da salvare

Un pomeriggio sulle acque del primo bacino in compagnia di cinque pescatori e una vecchia barca di legno. Per navigare tra paratie, secche, muri pericolanti, catamarani e tanta sporcizia

Como - Questa Montisola del ’77, cinque metri e settanta, tutta in legno, con un vecchio dieci cavalli a poppa, in questi ultimi anni ne ha sentiti davvero tanti di improperi.
E anche oggi, che come tutti i pomeriggi, si prepara a lasciare il porto di Sant’Agostino per puntare sull’altra sponda, verso Villa Olmo, sa che il Mario e il Gianfranco qualche accidente, prima o poi, c’è da giurarci, lo tireranno.
E non è per i persici, stramaledetti, che non si fanno stanare o per i lavarelli che sono scappati altrove. No! Se parte un moccolo è soltanto per questo lago che loro, da trent’anni, vedono andare a ramengo ogni giorno sempre di più.

«Qui va sempre peggio!». Parola di Gianfranco Oliverio, pescatore da trent’anni che, oggi, non ha proprio voglia di dire altro: primo perché con questo lago piatto potrebbe essere la giornata giusta per pescare, secondo perché la sua è una tiritera che ha già detto e stradetto, ma non ha mai visto cambiare niente. E sono persino già andati in pensione anche tutti quelli con i quali si è più volte sfogato.
Nel mirino dei suoi sconsolati commenti, oggi non ci sono soltanto le paratie e il muro della vergogna che ha fatto indignare la città. Questa fetta di lago sfigurata lo lascia con l’amaro in bocca e la tristezza addosso, perché sono troppe le cose che non vanno e questo è il suo pezzo di lago, fin da quando era bambino. È il lago dove suo padre, Giovanni, arrivava con un carretto trainato da un cavallo, carico di farina e riempiva i comballi che partivano, sospinti dalla breva, verso i piccoli paesi a nord. È un lago che ha sempre amato, ma che oggi vede andare alla malora, ogni anno di più.
La vecchia Montisola prende i largo. Piano, lentamente, perché il lago sta andando quasi in secca, anche qui, che siamo dentro un porto.
«Troppo basso! Stanno tenendo il livello troppo basso - dice sconsolato l’amico Mario Riva - e la colpa sta nel fatto che il lago è stato trasformato in cisterna per la distribuzione dell’acqua. Lo fanno crescere quando l’acqua non serve e poi improvvisamente lo svuotano».

E che il livello sia sceso, e di molto sotto i livelli storici, lo dimostra l’idrometro che sta incastonato, a mosaico, sui muri di viale Geno. L’acqua, oggi, è sotto di un venti centimetri rispetto all’ultima tacca che dovrebbe misurare il limite minimo. «E il lago così basso - aggiunge - è un danno anche per i pesci, perché depositano le uova sulle rive e poi, in pochi giorni, l’acqua sparisce lasciandoli a marcire in secca. Ma dei pesci, qui, non si preoccupa nessuno».
Un colpo di gas alla Montisola e si va al largo. «Il lago che si abbassa, in questo modo e in così poco tempo, sta mettendo a rischio tutti i muri a secco, i pilastri, gli argini e le darsene delle case», aggiunge il Gianfranco, indicando verso il monumento ai Caduti. Il Montisola punta verso il muraglione e, proprio lì, in mezzo, si sta aprendo una voragine. Sono già caduti dei sassi ed è un miracolo se il resto del muro sta ancora in piedi.
«Prima o poi qui vien giù tutto - è la sentenza - e muri ridotti così ci sono ovunque: qui dove esce il Cosia, là lungo la passeggiata di Villa Olmo, dall’altra parte verso la fontana di Villa Geno, ovunque!». E, se questi storici muri a secco si sgretolano e si perdono sui fondali, non è soltanto colpa del livello delle acque troppo basso. L’imputato numero uno, il primo responsabile di questa quotidiana e inarrestabile distruzione, è il catamarano.

«Da quando hanno messo in circolazione questi obbrobri, le onde stanno devastando le rive - raccontano i pescatori - onde così alte e violente non le ha mai fatte nessun battello. Non c’è paragone con gli aliscafi, il Concordia o il vecchio Milano. Quando passa un catamarano, le rive vengono massacrate e giorno dopo giorno i muri e le darsene crollano». Questa è proprio l’ora in cui il "Città di Como" si stacca dal molo e questo è il momento che la vecchia Montisola si metta al riparo. Lo fa dentro il porto Marina a due passi dal cantiere delle paratie e sotto quel muro che dalla strada oscura la vista del lago. Qui si è già ritirata un’altra barca, una piccola lancia bianca. Sopra, ci sono Dino Pozzi e Pierluigi Marelli, anche loro con parecchi anni di frequentazioni di lago alle spalle e la passione per la pesca da sempre. Guardano il cantiere delle paratie e scrollano la testa. «Quel muro è un orrore - dicono - ma tutte le paratie csono un’opera inutile. Non serviranno a niente. L’unico vero modo per controllare le esondazioni sarebbe quello di regolare le aperture a Malgrate, ma il lago ormai è considerato soltanto una cisterna: si deve riempire il più possibile, per poi vendere l’acqua». 
Al di là della diga foranea, dove il Cosia sfocia nel lago, sta aspettando che passino le onde del catamarano anche un piccolo Boston Whaler, quattro metri e trenta. Sopra c’è Giuseppe Vergaaltro abituè della canna da pesca, anche lui con trent’anni di uscite in barca sulle spalle.

«Da qui vien giù di tutto - dice indicando la bocca del Cosia. Qui il lago è costantemente marrone. E una situazione peggiore c’è dall’altra parte dove sfocia il torrente Valduce. Là non c’è nemmeno il depuratore che trattiene qualcosa e, sempre in quella zona, sotto viale Geno, sfociano direttamente in acqua persino delle fogne a cielo aperto». Accende il Boston Whaler e dà gas al fuoribordo. «Io vado a pescare il più in su possibile, oltre Villa Olmo - dice - qui i pesci chissà che cosa mangiano» e sparisce, saltando sulle onde scure del catamarano che vanno a sbattere sulle pietre traballanti della riva. Una virata a destra e la prua punta decisa verso riva, verso il porticciolo di Sant’Agostino. Qui c’è un’altra chiazza verde e bluastra, sballottata dalle onde. «Qui ormai non c’è più da stupirsi. Il primo bacino, si sa, è inquinato». C’è un’acqua limacciosa, a balneazione vietata, che trasporta pure l’inciviltà di quelli che nel lago buttano di tutto. E così la barca si fa largo tra sacchetti di plastica, lattine di birra, mozziconi di sigarette e pezzi di legno venuti giù dai torrenti, con l’ultimo temporale. La Montisola è di nuovo in porto. «Ecco, questo pontiletto è l’unico attracco pubblico esistente su tutto il primo bacino - commenta il Gianfranco togliendo gas al motore - e una Como così sarebbe una città turistica? Ma come fanno le barche che arrivano a Como a fermarsi in città? Impossibile».

La Montisola non ha bisogno di un pontile per ormeggiare. Lei viene tirata in secca sui gradini che scendono da viale Geno e sta lì fino a domani. Oggi, in chiglia, niente persici. Quella di oggi è stata solo un’uscita sconsolata a guardare le ferite di questo lago dimenticato. Oggi questa vecchia barca di legno non ha sentito improperi o accidenti: ha udito soltanto un racconto sconsolato. Quello del Gianfranco e del Mario, quello del Giuseppe, del Dino e del Pierluigi. Gente che questo lago lo ama da sempre, ma lo vede davvero andare, ogni anno, sempre più alla malora. «Ed è un peccato».
Giuseppe Guin


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