L'inchiesta non si ferma
Neanche a muro abbattuto

L’abbattimento del muro non basterà a estinguere il reato. Non nel caso in cui, al termine dell’indagine preliminare, dovesse emergere un abuso edilizio e non in quello in cui emergesse invece un danno ambientale. Lo ha chiarito il procuratore della Repubblica Alessandro Maria Lodolini

COMO L’abbattimento del muro non basterà a estinguere il reato. Non nel caso in cui, al termine dell’indagine preliminare, dovesse emergere un abuso edilizio e non in quello in cui emergesse invece un danno ambientale. Lo ha chiarito ieri il procuratore della Repubblica Alessandro Maria Lodolini, a pochi giorni dall’avvio delle indagini innescate, di iniziativa, sul caso della muraglia del lungolago: «In ogni caso - ha poi spiegato il procuratore - è anche presto per poter trarre conclusioni sulla reale sussistenza di eventuali violazioni di legge».
Sul fatto che sia ancora presto non ci sono dubbi. L’indagine, avviata la scorsa settimana, è davvero ai blocchi di partenza. Su delega del pm Simone Pizzotti, il Corpo forestale dello Stato aveva eseguito tutte le rilevazioni possibili in cantiere e aveva acquisito planimetrie, progetti, carte. Tutto è a disposizione della magistratura che, nonostante la ridda di voci in circolazione da giorni, non ha mai richiesto il sequestro del cantiere. La materia non dovrebbe, comunque, essere troppo complessa: il progetto originario e le successive varianti in corso d’opera, ufficialmente approvate dalla Provincia, prevedevano, almeno per il primo lotto dei lavori, che la sommità del muro nel tratto compreso tra piazza Cavour e i giardini a lago (per una lunghezza di 176 metri) avesse andamento costante e fisso alla quota di 200,30 metri sul livello del mare, in modo che finisse anche per abbassarsi in virtù della lieve pendenza (4%) della sede stradale. È un dato di fatto: in fase di esecuzione, il muro è stato alzato, tanto che oggi la sommità della parete si trova senz’altro più su. Del resto il lago è, oggi, a 197,40 metri e se la sommità del muro e a più di due metri e 90 dal livello delle acque, la controprova è raggiunta. Diverso è raggiungere la prova dell’avvenuto abuso edilizio che, nel caso, comporterebbe la violazione dell’articolo 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che punisce «chiunque senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici (...) La pena è della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori ricadano su immobili o aree che per le loro caratteristiche paesaggistiche sono stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori». E per la cronaca, la fascia costiera del Comune di Como è soggetta a dichiarazione di notevole interesse pubblico in base al Decreto ministeriale 16 agosto 1955.
In linea teorica, le contestazioni della Procura potrebbero riguardare anche altre due norme. La prima è quella che concerne l’articolo 44 del Testo unico dell’edilizia, che punisce gli interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo paesistico ambientale in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso. La pena è dell’arresto fino a due anni e l’ammenda da 30.896 euro a 103.290 euro. La seconda è quella contenuta nell’articolo 734 del Codice penale (distruzione o deturpamento di bellezze naturali) che punisce «chiunque mediante costruzioni, demolizioni o in qualsiasi altro modo distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione delle autorità, con l’ammenda da 1.032 euro a 6.197 euro».
St. F.

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