Cadavere in un furgone
Ucciso piccolo imprenditore

Tavernerio: un quarantacinquenne trovato nel suo furgone con una ferita alla testa. Si tratterebbe di un artigiano scomparso da circa 24 ore. Lo avrebbe ritrovato il fratello. Mistero fittissimo: indaga la polizia

TAVERNERIO - Il cadavere di un uomo con il cranio sfondato è stato ritrovato ieri pomeriggio poco dopo le 15 all’interno di un furgone posteggiato a Tavernerio, tra via Europa Unita e via Alle Selve, a venti metri in linea d’aria dalla statale.

Il corpo è quello di Antonio Di Giacomo, 45 anni, origini potentine, residente a Colico con la moglie e tre figli di età compresa tra i 5 e i 10 anni, grande appassionato di windsurf e titolare della «Wind service», piccola azienda individuale che si occupa di forniture di caffè e bevande. Non dava più notizie di séda circa 24 ore. Ieri mattina sua moglie ne aveva denunciato la scomparsa ai carabinieri di Colico. A trovarlo sarebbe stato uno dei fratelli, Giuseppe, che risulta peraltro residente proprio a Tavernerio, in via Resegone, non lontano dal punto del ritrovamento. Il corpo era in un furgone giallo di proprietà della vittima, un Mercedes Vito con i vetri oscurati, i cerchi in lega e le insegne della Wind service. Era aperto: è bastato spalancarne il portellone posteriore per scoprire il cadavere.
È stato trovato steso a pancia sotto, senza scarpe, sdraiato in un grosso armadio di plastica grigia che fungeva da bara, poggiata nel vano di carico tra scatoloni carichi di bicchierini, palette per il caffè e cialde. Lo copriva un telo verde dal quale spuntavano i piedi.

La testa era coperta con un sacchetto di plastica trasparente, sul genere di quelli che si utilizzano per surgelare gli alimenti. Era zuppo di sangue, come il resto del furgone nel quale non sono state trovate armi. È un dettaglio importante, il primo che abbia consentito di sgomberare il campo dall’ipotesi che potesse trattarsi di un suicidio.
Di Giacomo indossava un paio di jeans e un giubbotto blu leggero. Sua moglie è arrivata a Tavernerio circa un’ora e mezza dopo il ritrovamento. L’ha riconosciuto dagli abiti: «È lui - ha gridato - me l’hanno ammazzato». La polizia, prima che la salma fosse portata via e messa a disposizione del pm Simone Pizzotti, ha interrogato un certo numero di testimoni, in particolare di residenti. Sembra che il furgone fosse posteggiato sotto i faggi di via Europa Unita già dal pomeriggio precedente. Senz’altro l’ha visto, prima dell’alba, un vicino che rientrava da un turno di notte ma, in ogni caso, pare che la sua presenza fosse tutt’altro che inedita. Qualcuno ha raccontato di averlo visto anche altre volte, ed è plausibile che si trattasse proprio di lui, di Antonio, che da queste parti veniva a trovare il fratello. La prima domanda riguarda proprio il furgone.

Bisogna chiarire dove l’imprenditore sia stato ucciso e perché, nell’ipotesi in cui l’esecuzione sia avvenuta altrove, il killer abbia voluto portarlo fino a qui. Si indaga nel suo passato: appassionato di windsurf, originario come il resto della sua famiglia - quattro fratelli e una sorella - del Comune di San Fele, in provincia di Potenza, Di Giacomo non aveva precedenti penali. Può non significare molto, ma sulla carta era comunque un artigiano lontano da ambienti malavitosi o anche soltanto in odore di malavita. Nella tarda serata di ieri la squadra mobile della polizia, cui sono affidate le indagini, stava cercando di mettere a fuoco la rete delle sue conoscenze, di quelle che lo legavano a clienti, fornitori, amici e conoscenti. Sono state sentite moltissime persone, soprattutto si è cercato di mettere a fuoco i suoi spostamenti. Sua moglie ha raccontato che era uscito di casa venerdì verso mezzogiorno e che aveva spento il cellulare quasi subito. Un amico gli avrebbe parlato attorno a mezzogiorno e mezzo, poi più nulla. Hanno iniziato a cercarlo i parenti l’altra sera, poi hanno sporto denuncia. Lo spegnimento del cellulare rende difficile il tracciamento dei suoi movimenti. Se spenti, i telefonini non agganciano le cosiddette "celle" che, distribuite sul territorio, aiutano in genere a disegnare anche gli spostamenti.

La scientifica ha scandagliato a fondo il furgone. Sono state trovate molte impronte digitali sui portelloni e sulle maniglie, ma potrebbero essere di chiunque. Il resto sarà probabilmente oggetto di verifiche più approfondite, a partire dalle analisi del sangue trovato nell’armadio che accoglieva il cadavere.
Ma sono soprattutto due i dettagli che rendono questo delitto così inquietante. Il sacchetto e il luogo in cui è stato ritrovato il furgone. Il cellophane fa pensare a una autentica esecuzione, quasi che qualcuno glielo abbia messo in testa prima di sparargli per evitare di spargere troppo sangue. Il furgone, posteggiato così vicino a casa del fratello, autorizza invece a pensare che l’assassino abbia voluto mandare un messaggio.
Antonio Di Giacomo si era trasferito in Lombardia, con il resto della famiglia, nel 1972, quando aveva appena nove anni. Con il padre, la madre e suoi quattro fratelli (tra i quali una sola sorella) erano andati a vivere a Cavallasca, prima di dividersi in età adulta, in altri Comuni della provincia di Como e di Lecco. Al paese natale, nel Potentino, non tornavano quasi mai.
Stefano Ferrari

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