Il bancomat della vittima
trovato in tasca all'amico

Giallo di Tavernerio, la tessera bancomat di Antonio Di Giacomo era in possesso dell’uomo che con lui pranzò in via Carloni il giorno stesso in cui l’artigiano di Colico fu ucciso. Il dettaglio filtra a margine di una inchiesta che si fa di ora in ora sempre più complessa

COMO La tessera bancomat di Antonio Di Giacomo era in possesso dell’uomo che con lui pranzò in via Carloni il giorno stesso in cui l’artigiano di Colico fu ucciso.
Il dettaglio filtra a margine di una inchiesta che si fa di ora in ora sempre più complessa, impervia, densa di dettagli ma - a quanto pare - con pochi elementi davvero determinanti.
Basta un bancomat a imprimere l’accelerata definitiva? Evidentemente no, se è vero, come è vero, che nei confronti dell’amico di Di Giacomo la Procura della Repubblica non ha intrapreso alcun genere di provvedimento. Lui si sarebbe giustificato in modo apparentemente sereno. Ha detto che lo legava ad Antonio un’amicizia antica, e che era stato proprio lui, Di Giacomo stesso, a consegnargli quella tessera per motivi loro, ragioni che dal riserbo rigidissimo dell’indagine non sono filtrati ma che, a quanto pare, gli inquirenti hanno ritenuto plausibili.
Il resto dell’inchiesta, anche ieri, è ruotata attorno ai conti correnti della vittima. Sarebbero due, uno "ufficiale" e uno della cui esistenza non era informata neppure la moglie. È, questo, il conto più pingue, quello che raccoglierebbe alcune centinaia di migliaia di euro, somme del tutto incompatibili non soltanto con il regime e lo stile di vita della famiglia di Antonio ma anche con le rendicontazioni della sua attività nelle province di Sondrio e Lecco, dove riforniva le macchinette aziendali del caffè con introiti difficilmente superiori ai 2500, tremila euro al mese. Attorno a quei soldi ruota gran parte del giallo ed è forse in questo conto che vanno cercate una o più risposte. La polizia ci sta provando, insistendo nella raccolta di testimonianze (sono oltre un centinaio le persone messe a verbale) e nell’incrociare dati, circostanze, verifiche sui tabulati telefonici e sugli spostamenti di Di Giacomo, non solo nel suo ultimo giorno di vita ma anche nelle ore precedenti. Dal ritrovamento del cadavere, barricato nel furgone abbandonato a Tavernerio e completamente avvolto nel cellophane, sono passati ormai nove giorni. E come sempre in questi casi, il tempo è alleato di chi si nasconde.
Stefano Ferrari

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