Con il cadavere nell'armadio
in due (o in tre) sotto la pioggia

Due, forse tre persone che sotto una pioggia battente trasportano un cadavere per 136 metri senza essere visti da nessuno o, peggio, senza suscitare neppure un sospetto. Mentre gli uomini della squadra mobile proseguono il loro lavoro nella speranza di riuscire a identificare e a incastrare quanto prima il killer di Antonio Di Giacomo

COMO Neppure la più inverosimile delle sceneggiature di un film dei fratelli Coen avrebbe saputo immaginare una sequenza tanto macabra e folle. Due, forse tre uomini che in una notte da lupi e indossando i panni dello sciacallo si mettono a passeggiare in pieno centro città con un armadio trasformato in bara. Due, forse tre persone che sotto una pioggia battente trasportano un cadavere per 136 metri senza essere visti da nessuno o, peggio, senza suscitare neppure un sospetto. Mentre gli uomini della squadra mobile proseguono il loro lavoro nella speranza di riuscire a identificare e a incastrare quanto prima il killer di Antonio Di Giacomo, a margine dell’inchiesta emergono particolari inverosimili sull’omicidio e sull’occultamento del corpo della vittima.
Dopo l’arresto di Emanuel Capellato gli inquirenti non sembrano avere più dubbi: il 46enne venditore di macchinette per il caffè di Colico è stato ucciso in via Cinque Giornate, nell’appartamento del figlio del pugile contrabbandiere a quaranta passi dal Duomo di Como, in piena zona a traffico limitato. Un omicidio che si è consumato tra le 15 e le 17 di venerdì 9 ottobre: un colpo di pistola alla testa, che nessuno ha però sentito. La ricostruzione più plausibile di quella tragica giornata racconta una storia al limite tra il paradossale e il macabro. I killer che escono di casa, lasciando il corpo accasciato su una sedia, montano in macchina - presumibilmente quella del complice di Capellato, visto che quest’ultimo non aveva un’auto - e raggiungono un negozio di bricolage. Qui comprano un armadio da adibire a bara. Un rotolo di cellophane, di quelli industriali, per poter avvolgere il corpo. Detergenti per ripulire la casa. E un paio di tappetini, che i poliziotti ritrovano nell’abitazione del Capellato.
Con il sacchetto della spesa gli assassini ritornano in via Cinque Giornate, chiudono il corpo nell’armadio e lo avvolgono con il cellophane, immobilizzandolo, in modo da non farlo cadere durante il trasporto. Puliscono il sangue dal pavimento (ma alcune tracce sarebbero già state ritrovate dagli uomini della polizia scientifica). E aspettano il momento opportuno per spostare il cadavere.
Cala la sera. Quella di venerdì 9 ottobre è una notte da lupi. I negozi e i bar non fanno a tempo a chiudere, e il centro città è già deserto. Il furgone giallo di Antonio Di Giacomo, rimasto parcheggiato per quasi tutto il giorno in piazza Roma con tanto di tagliando del parcometro regolarmente pagato, viene spostato. Dove? L’ipotesi più verosimile è che, per evitare le telecamere del vigile elettronico, venga lasciato a ridosso del Broletto, attaccato a piazza Duomo. Magari con le doppie frecce accese. I killer prendono l’armadio, scendono in strada e per 136 metri fanno sfilare la bara del Di Giacomo davanti alle vetrine ormai spente dello shopping in centro città, sotto i portici di fronte alla facciata del Duomo fino al Broletto, dove l’armadio viene piazzato sul furgone, ritrovato il giorno dopo a Tavernerio.
Uno di quegli uomini gli inquirenti l’hanno identificato in Emanuel Capellato. All’appello manca ancora almeno un complice.
P. Mor.

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