Delitto di via Cinque Giornate,
analisi sul giubbotto di Panarisi

L'uomo accusato dell'assassinio di Antonio Di Giacomo è stato interrogato ieri, per tre ore, dal pubblico ministero Antonio Nalesso. Presentata l'istanza di scarcerazione per Davide Terraneo

Insiste, Leonardo Panarisi. «Non ho sparato io», ha ribadito ieri pomeriggio al pubblico ministero nel corso di un interrogatorio lunghissimo, tre ore di dichiarazioni raccolte in nove pagine di verbale. Accusato dell’omicidio di Antonio Di Giacomo, Panarisi, 52 anni, origini siciliane e residenza a Tavernerio, ha chiesto che la Procura accerti l’eventuale presenza di polvere da sparo su un giubbotto sotto sequestro dal giorno del suo arresto. È quello l’indumento che indossava il pomeriggio di venerdì 9 ottobre quando Di Giacomo morì: se davvero fu lui a premere il grilletto, sulla giacca (sempre che ovviamente la indossasse davvero) dovrebbe risultare qualche traccia di polvere da sparo. Panarisi insiste nel dire di essere arrivato nel monolocale di via Milano soltanto dopo la morte di Di Giacomo, il quale dovrebbe, a quel punto, essere stato ucciso da Emanuel Capellato. Ha detto ancora di essersi adoperato per ripulire l’appartamento, per avvolgere il cadavere nel telo impermeabile e per chiuderlo nel famoso armadio grigio poi impiegato a mo’ di bara. Rispetto alla versione iniziale, Panarisi avrebbe mutato soltanto alcuni dettagli relativi alla serata. Non è vero che salutò Capellato dopo averlo aiutato a caricare il corpo di Di Giacomo sul furgone giallo. In realtà lo avrebbe scortato con la sua Panda fino a via Europa Unita, a Tavernerio, dove il Volkswagen Vito fu poi abbandonato.
Per finire, ieri è stata depositata l’istanza di scarcerazione per il terzo indagato, il comasco 47enne Davide Terraneo, accusato di favoreggiamento. Una risposta arriverà nei prossimi giorni.

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