Al ministro servirebbe
un libro di storia

E poi dicono che uno non va più a votare. Nei giorni scorsi, il ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha detto a una trasmissione televisiva che “non serve studiare quattro volte le guerre puniche, occorre cultura tecnica per formare i giovani alle professioni del futuro, quelle di digital manager, per esempio”. Tutto vero. Lo ha detto per davvero.

Ora, a parte il fatto che se uno nella sua carriera scolastica studia quattro volte Annibale e Scipione l’Africano vuol dire che è un pluriripetente e quindi ha ben altri grattacapi, il dramma è che Cingolani non è il classico ubriaco preso per strada e nominato ministro perché uguale alla gente che lo vota - ragionamento molto di moda tra i nostri statisti durante le ultime circensi stagioni politiche -, ma un accademico con un curriculum lungo così.

E quindi qui abbiamo un problema profondissimo di visione, visto che nessuno vuole immolarsi in una difesa corporativa e passatista della riforma Gentile, che basandosi sulla centralità della cultura classica ha sempre marginalizzato quella tecnica, con tutti i disastri conseguenti nella storia (la storia, appunto…) del nostro paese. Ma non si può non sottolineare la pericolosità di una scuola di pensiero che ritiene che le materie di base, quali l’italiano, la storia e la geografia (per non parlare del latino, del greco, della storia dell’arte e della filosofia) debbano essere ristrette all’ambito di polverosi specialisti mentre il nuovo che avanza, che sta già governando il mondo e che sempre più ne guiderà la magnifiche sorti e progressive verrà gestito solo da chi sarà in possesso di competenze scientifiche, ingegneristiche e digitali. Bastano quelle, il resto non serve.

In pratica, probabilmente senza accorgersene, il ministro sta rivoltando la frittata e dalla ghettizzazione delle materie scientifiche sancita ai tempi di Mussolini sta passando a quella delle materie umanistiche firmata da quelli che la pensano come lui.

Ma due errori non si elidono, si sommano. Ed è ancora più grave che un ministro all’Ambiente, argomento decisivo per le sorti della società e dell’economia, al netto dell’insopportabile piagnisteo conformista di questi mesi, ritenga che si tratti di un tema tecnico. Perché quello dell’ambiente in senso lato è uno snodo essenzialmente culturale, la cui parte tecnologica costituisce solo l’applicazione di una visione del mondo che parte dalla conoscenza di quello che siamo, di quello che siamo stati e di quello che vogliamo diventare, dalla comprensione di che cos’è quella strana bestia, quel legno storto che è l’uomo, con tutte le sue pulsioni, le sue cadute, le sue aspirazioni, le sue scriminature esistenziali, il suo implacabile istinto prometeico.

Altrimenti si costruisce un pupazzo che è solo la sua specialità, la sua competenza specifica, slegata da ogni contesto. Un formidabile, efficientissimo pigiatore di bottoni, che tutto sa di quel microscopico spicchio di realtà che gli viene delegato, ma che nulla sa di tutto il resto. Insomma, un cretino specializzato.

E poi, basta guardare con un minimo di attenzione la deriva presa da decenni dai programmi scolastici, sull’onda di un ridicolo modernismo, per capire che la polemica sulle guerre puniche è totalmente insensata, visto che le ore di storia e, in genere, quelle dedicate alle materie umanistiche sono state via via ridotte ai minimi termini. E’ sparita la geografia, così come l’educazione civica, è praticamente scomparso il latino, nessuno insegna più sul serio l’analisi grammaticale, l’analisi logica, l’analisi del periodo, ci sono in giro certi diplomati, certi laureati (certi deputati!) che non sanno mettere insieme due frasi, che hanno un vocabolario di cento parole, una roba da vergognarsi, da sotterrarsi, da sprofondare, che non sanno cosa sia il passato e a che serva e che è da lì che provengono, con tutto il loro carico di significato, i concetti base del nostro secolo e della nostra vita quotidiana: democrazia, tirannide, dispotismo, monarchia, repubblica, popolo, massa, interesse privato e pubblico, comunismo, fascismo, nazismo, liberalismo, statalismo, femminismo, intolleranza e tutto il resto di bello e di orribile che può passarvi per la mente.

Tutto il nostro mondo, ma tutto davvero, deriva dal passato, ogni cosa ha delle radici e conoscerle è fondamentale non tanto per quelli che diventeranno professori universitari di storia romana o di teoria e storia della storiografia, ma soprattutto per quelli che dovranno gestire le nuove energie del pianeta, la nuova sostenibilità della città, i nuovi metodi di mobilità e di comunicazione. L’avventura sanguinosa e terribile del Novecento è lì a dimostrarci a quali abissi possa portare la pura tecnica quando si stacca dal grembo della scienza e quando, a sua volta, la scienza non è più scienza umana, ma semplice somma di fattori matematici. Conoscere la storia, la letteratura, il latino, la geografia e il diritto serve soprattutto agli scienziati, questa è la verità.

Ma Cingolani non vede il livello mostruoso dell’analfabetismo funzionale nella società contemporanea, non si rende conto che come minimo il 30% (con picchi del 40%) della popolazione italiana non è in grado di comprendere il senso di un testo complesso, attenzione, non una pagina di Joyce o Gadda, ma un semplice articolo di giornale o di rivista? Ma si rende conto? Che persona è, che lavoratore è, che ingegnere è quello che una volta tolto dal suo guscio, dalla sua tana autoreferenziale non sa niente di dove vive, della genesi di quelle tradizioni, quelle consuetudini che incrocia tutti i giorni, del senso della sua esistenza dentro un organismo sociale? Lo sa il digital manager di cui sopra che lui è innanzitutto e soprattutto un cittadino? Ma “cittadino” è un termine complesso, che nasce con le città stato, e con Roma in particolare, e che diventa centrale con la rivoluzione francese. Ci vorrebbe un buon libro di storia per spiegarlo al ministro.

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