Gli spari a Muscatello e i pestaggi
«Cantù sfiorò la guerra di mafia»

’Ndrangheta. Il giorno dopo la sentenza emergono i retroscena sulle mani dei clan sulla piazza

Quando il nipote di un boss di ’ndrangheta del calibro di Salvatore Muscatello, peraltro la carica più importante dei clan in Lombardia, viene gambizzato all’alba di una fredda mattina canturina in un agguato, il timore concreto è che possa scoppiare, di lì a poco, una guerra di mafia. E invece non solo a Domenico Staiti e Rocco Depretis, reoconfessi di aver ferito a colpi di pistola Ludovico Muscatello nell’ottobre 2015, non è successo nulla - ad eccezione del loro arresto e della loro condanna per quell’agguato - ma lo stesso rampollo del casato di ’ndrangheta ha deciso di togliere il disturbo dalla piazza canturina.

Certo, bisogna attendere le motivazioni della sentenza per comprendere il motivi che hanno spinto i giudici ad accogliere in toto la ricostruzione della Procura antimafia sulle violenze a margine della movida di piazza Garibaldi, ma di sicuro quanto avvenuto dopo la gambizzazione di Muscatello junior ha avuto un significato ben preciso.

I clamorosi dietrofront da parte di tantissimi canturini, che davanti ai carabinieri del nucleo investigativo di Cantù avevano raccontato una realtà fatta di paura e minacce e prevaricazioni, salvo poi presentarsi in aula dove hanno preferito rischiare l’accusa di falsa testimonianza e di calunnia nei confronti degli inquirenti piuttosto che esporsi contro gli imputati, hanno permesso di toccare con mano - come ha detto nella sua requisitoria il pubblico ministero Sara Ombra - cosa s’intende per assoggettamento e intimidazione, ovvero i capisaldi del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso.

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