«Discriminata dal Viminale»
Vince battaglia in tribunale

Il giudice di Como ha dato ragione ad una mediatrice culturale licenziata dalla Questura

Fa causa al Ministero dell'Interno dopo aver perso il lavoro e il giudice le dà ragione, intimando al Viminale di cessare nelle condotte discriminatorie nei suoi confronti. È la battaglia legale vinta da una mediatrice culturale Elizabeth Arquinigo Pardo, 29 anni, peruviana, residente a Turate, che si è rivolta la tribunale di Como per avere giustizia del licenziamento subito a causa, sostiene lei, delle pressioni del Ministero dell’Interno. Lavorava, assunta da una cooperativa, presso la Questura di Milano, e venne allontanata dopo che era stato rilevato un numero anomali di richieste di protezione da parte di cittadini peruviani. Ma la donna è anche autrice di un libro, Lettera agli italiani come me, che tocca il problema dei migranti e a causa del quale sostiene di essere stata discriminata.

Il giudice di Como Giovanni Luca Ortore non ha accolto l’ipotesi che la rescissione del contratto sia dovuta a cause «di natura politica e ideologica». Ma ha riconosciuto però che la decisione della Questura è stata «sicuramente discriminatoria» perché la mediatrice culturale peruviana è stata trattata in maniera diversa dai suoi colleghi per la sua nazionalità. La Questura «ha chiesto l’immediata sostituzione di Arquinigo Pardo solo perché - si legge nell’ordinanza - aveva la stessa nazionalità peruviana di coloro che, a suo giudizio, avevano presentato un numero di domande di asilo superiore al passato ma del tutto ingiustificatamente, valutazione questa, non solo indimostrata, ma neppure sostenibile a livello indiziario».

Il 15 febbraio, il giorno dopo l’allontanamento della mediatrice, la dirigente dell’Ufficio immigrazione aveva informato la Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere di aver rilevato un ingiustificato aumento degli accessi dei richiedenti asilo di nazionalità peruviana, in coincidenza con il servizio svolto da Arquinico. Per il giudice, la motivazione della Questura non si può ritenere «un espediente, ideato al solo fine di celarne la vera ragione, di natura politica e ideologica». E «paradossalmente è proprio l’inconsistenza della motivazione ufficiale a rivelarne l’autenticità (perché per sviare eventuali sospetti da quella effettiva, se ne sarebbe adottata un’altra, più convincente) e la natura discriminatoria».

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