Con Tsipras si spegne
la sinistra da terrazza

Quando uno diventa il mito della sinistra da terrazza di solito è un pirla. La questione sembrerebbe misteriosa. E invece non lo è. Prendete l’ultimo caso, quello del leader greco Alexis Tsipras. Guardate che per un annetto buono da queste parti è stato un inferno.

E Tsipras di qua e Tsipras di là e Tsipras sì che rappresenta il nuovo e Tsipras sì che tiene la schiena dritta di fronte all’occhiuta consorteria trilaterale teutonizzata ed ecco dove spira il vento della libertà, la via di fuga dal giogo tecnocratico e bancocentrico, la politica finalmente vicina alla gente che soffre nel disinteresse generale e che ridà orgoglio e dignità a un popolo dalle lunghe radici, dalla lunga memoria e dalla lunga civiltà, nonostante il lunghissimo buco di bilancio. E non c’era verso di evitare la dose quotidiana di Tsipras-pedagogia, di Tsipras-mitomania, di Tsipras-idolatria per la gioia di tutto quel conglomerato, quel generone radical chic – sempre straordinariamente rappresentato nei media che contano, chissà come mai… - al quale non sembrava vero, dopo anni di sberle, schiaffoni e manrovesci, di trovare un nuovo idolo a cui appigliarsi e a cui delegare la salvezza dell’umanità. E delle serate culturali sulle contraddizioni del neoliberismo, soprattutto.

E si son lette cose meravigliose, davvero, soprattutto a rivederle col senno di poi. E Tsipras che mette al suo posto la Merkel e Tsipras che rimodella i parametri dell’economia mondiale e Tsipras nuovo Keynes e Tsipras che straccia l’algido euro e torna alla dracma romantica e levantina e Tsipras che assume tutti i disoccupati, aumenta tutte le pensioni, blocca tutti i licenziamenti, rifornisce tutti i supermercati. Tsipras uno e trino, con il sapido approdo sui settimanali rosa, perché, oltre a tutto il resto, Tsipras è pure un bell’uomo, Tsipras è sempre causal, Tsipras non porta la cravatta, Tsipras si è scelto un ministro dell’economia che sembra Bruce Willis e se ne va in giro in moto, tutto muscoloso e giubbottato, mica come quei barbogi gobbi e untuosi che si incrociano all’Ambrosetti. Insomma, due sciupafemmine da niente, che al confronto Kennedy e il Berlusca sembrano ragazzotti dell’oratorio.

Poi, come inevitabile, perché la vita è una cosa brutta, il nuovo Pericle, una volta plebiscitato da un popolo mai così alla canna del gas, è entrato nella stanza dei bottoni, ha preso quattro sganassoni da quelli che comandano veramente e se ne è tornato a sparare balle al bar del paese come un ubriaco qualsiasi. Risultato: il 9 aprile la Grecia non avrà più un ghello. Se non risarcisce al Fondo monetario il prestito da 460 milioni se ne va dritta filata in default (e se succederà sarà colpa sua, dei suoi sprechi e delle sue inefficienze), ma se restituisce i soldi non può pagare stipendi e pensioni ai suoi concittadini. Guarda un po’ che cose strane accadono nella vita reale...

Ora, il punto non è tanto quello che succederà fra qualche giorno, se ci sarà un’ulteriore dilazione oppure se la Grecia se la compreranno la Russia o la Cina. Il punto – tutto nostro, tutto provinciale, da paesotto del terzo mondo quale siamo – è capire perché dei cialtroni del genere possano catalizzare le attenzioni morbose di un vasto settore del popolo di sinistra. Ed è un bel problema, perché quella gente lì arriva dalla linfa del Pci, che è stata una roba seria, importante, strutturata da un senso della storia, della cultura e del proprio ruolo civico di grande valore, comunque la si pensi. E allora, come si fa a ridursi a salmerie di certi sarchiaponi? Togliatti, che era un genio della politica, gente come Tsipras o Varoufakis l’avrebbe spedita nella sezione attacchini di Acireale a pedate nel sedere, altro che decidere le sorti della patria.

Non c’è niente da fare. E’ l’ennesimo segno della degenerazione di un mondo scollegato dalla realtà, figlio del gruppettarismo anni Settanta, della demagogia stracciona portata dal Sessantotto con tutta la sua fuffa – il diciotto politico, le occupazioni scolastiche, il cheguevarismo, l’eccebombismo, il complottismo, il benaltrismo, la rivoluzione proletaria organizzata al tavolo del biliardo, le schitarrate sulla spiaggia, le espadrillas, la forfora – che è stata tragedia negli anni Settanta, risacca negli Ottanta per sfociare nel puro avanspettacolo dalla Seconda Repubblica in poi. Non che a destra ci sia mai stato in giro di meglio, per carità – con certi ceffi che ancora ingombrano le aule parlamentari e i talk show – ma il grado di grottesco raggiunto da questi neutrini vaganti dopo il big bang delle ideologie si è visto raramente nella storia patria.

Vi ricordate alle ultime elezioni europee quale trionfo di scienziati si è messo in fila per la lista Tsipras italiana? Grandi firme, intellettualesse europeiste, giornalistoni sempre con il ditino alzato, doppi e tripli moralisti, sacerdotesse del femminismo 2.0, sindacalisti felpati e pulciosi, dame bianche, preti che forse Dio esiste, reduci del Settantasette che quelli sì che erano anni formidabili, nuovi Heidegger e novelli Goethe: una roba da film di Scola (o di Monicelli? o dei Vanzina?) e tutti lì a trillare e cinguettare e pigolare attorno al totem, al monolito, all’archetipo e, al contempo, a tuonare contro l’Europa mascalzona, lo Stato ladro e le porche aziende sfruttatrici e vessatorie.

Beh, che fine hanno fatto tutti questi cervelloni, questi sacerdoti della libertà? Dispersi tra le nebbie di Bruxelles, le carciofaie del podere nel Chianti e la presentazione di qualche tomo sulla rivoluzione mondialista grazie al vitalizio pagato da Pantalone. Nel frattempo – oltre ad avere qui il 43% dei giovani senza lavoro e una classe politica che si mangia pure le gambe del tavolo - in mezzo mondo stanno macellando cristiani al ritmo di trecento al mese. I soloni della sinistra pura e casta e gli adepti di JesuisCharlie hanno qualcosa da dire, per caso, oppure è solo roba da negri e cattolici, razze notoriamente inferiori?

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