Dietro al reddito
una cultura che spaventa

Quando Luigi Di Maio, dopo una serata in fiaschetteria in compagnia di Pacciani, Moggi, Masaniello e i fratelli Marx, ha minacciato le plebi che se ne becca uno a fare il furbo con il reddito di cittadinanza lo schiaffa in galera per sei anni, abbiamo capito che non c’è gara. La nostra repubblica delle banane è il paese più spassoso del mondo.

D’altra parte, la faccenda del contributo da versare a tutti quelli in condizioni di miseria ha iniziato a prendere una piega sinistra quando il ministro dello Sviluppo economico ha annunciato che la somma verrà caricata su una tessera magnetica, probabilmente quella sanitaria: il precedente imbarazzante della “social card” di Tremonti e la nota efficienza della nostra rete informatica la dice già lunga su come potrebbe andare a finire questa geniale trovata. Ma la vera deriva, da una parte ridicola e dall’altra inquietante, riguarda il controllo che verrà fatto dell’utilizzo dei soldi da parte dei beneficiari. Che potranno, anzi, dovranno, pena la decadenza, spenderli tutti, ma non per qualsiasi genere di acquisto bensì solo per quelli “morali”. Tutto vero. La moralità della spesa. E quando questo sacro principio, che scoperchia interrogativi etici ed esistenziali, mica pizza e fichi, è stato scolpito nella pietra del decalogo grillino, è partito il Circo Barnum.

Che cos’è morale? Che cos’è immorale? Il pane bianco, caposaldo della civiltà contadina, è morale? Il fiasco di lambrusco invece no, perché poi magari uno ci dà dentro davanti ai trentaduesimi di Coppa Uefa? La mortadella senza pistacchi è morale? La Nutella no, perché simbolo delle frustrazioni femminili piccoloborghesi che le fanno scucchiaiare avide a mezzanotte languendo sul Principe Azzurro che non arriva mai? La pizza marinara è morale, in omaggio al lider maximo, e la cinta senese invece no, perché ricorda le ruberie della banca dei renziani? E come la mettiamo con l’aceto balsamico? E la crema solare? E le calze autoreggenti? E il carbone anti gonfiori? E il ghiacciolo al tamarindo e le crocchette per cani e i pastelli a cera? E che si fa con i milioni di milioni che ogni giorno andranno a fare la spesa con la loro brava tesserina? Chi li controlla? Mettiamo migliaia di finanzieri a scorrere i tabulati del carrello di ogni disoccupato di Zafferana Etnea e a dire questo sì e questo no? Autorizziamo i carabinieri di Pinocchio a prendere per la collottola chi si compra un vanesio bombolone alla crema invece di un austero gallone di olio di oliva e portarlo davanti al Tribunale dei Valori della Repubblica Gialloverde?

E, soprattutto, quanti nanosecondi passeranno prima che l’inarrivabile arguzia italiota trovi misure e contromisure per truffare e sviare e irridere ogni controllo per poi taroccare tessere, scambiarsi acquisti, brigare con i negozianti più disinvolti e andare a farsi i comodacci propri con i soldi dei contribuenti? Senza parlare del tema di tutti quelli che risultano nullatenenti e che una volta intascati i famosi 780 euro andranno avanti a fare una beata cippa oppure a lavorare in nero esattamente come prima, alla faccia di chi sgobba per mille euro al mese. Statisti.

E come te la spiegano, come te la raccontano, come te la infiocchettano, questi cervelloni dell’arte politica, e come costruiscono il loro mito mitologico dal balcone mediatico in contatto diretto con il popolo bue. E Di Maio che arringa le folle e Di Maio che sfida le plutocrazie tecnocratiche e Di Maio che lancia sacchi di riso dall’elicottero nel Darfur e Di Maio che varca il Rubicone e Di Maio che impone le mani e Di Maio che guarisce la scrofola e Di Maio che falcia il grano a torso nudo e Di Maio che accarezza bambini biondi e Di Maio che invade la Polonia…

Ma la di là dell’evidente fanfaronata, che niente ha a che vedere con le esigenze drammatiche di chi è in condizioni di reale bisogno, è la cultura che la sottende che fa paura. Altro che risate. Una filosofia occhiuta, sovietica, sospettosa degli individui, che tutto accentra per tutto erogare e, quindi, tutto controllare e tutto manipolare. Pensateci bene.

Nel momento in cui la vita di un disperato dipende in tutto e per tutto dal sussidio economico di un potere altro, oscuro e distante che può girare quando vuole la manopola dell’ossigeno, vuol dire che quelle persone sono alla totale mercé dello Stato Padrone, suoi schiavi, suoi servi, sue salmerie, sue truppe cammellate. La rivisitazione 2.0 del teorema Lauro, quello della scarpa sinistra regalata agli elettori prima del voto e quella destra dopo.

Una cultura da anni Cinquanta, da paese sottosviluppato, da sciara neorealista, da Bulgaria con i suoi secondini, da Venezuela con i suoi straccioni, da Stato etico che tutto decide, tutto dispone, che ti dice cosa fare e cosa no, cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa puoi comprare e a cosa devi rinunciare. E questa, per chiunque possieda un minimo di cultura liberale, è una roba che fa schifo, una roba che fa ribrezzo, una roba che fa vomitare.

Una persona vera, autonoma e orgogliosa i soldi se li guadagna, perché il lavoro è valore, è cultura, è dignità, non un giogo da cui affrancarsi e uno Stato serio - quindi non il nostro - deve fare di tutto per favorire le condizioni che permettano alla più amplia platea di cittadini di trovarsi un posto, abbassando le tasse, sviluppando la formazione, costruendo infrastrutture, investendo sulla scuola, l’università, la ricerca e sostenendo in misura temporanea e realistica chi è in difficoltà, chi è stato espulso dal mercato del lavoro, formandolo e aiutandolo a reinserirsi.

Qui invece siamo alla sovvenzione, alla clientela, alle pensioni di invalidità dell’aurea Irpinia di De Mita, all’epopea dei forestali della Calabria, alle sanatorie degli insegnanti, alle regalie a pioggia, insomma, a tutta la fuffa e la strafuffa che inzacchera da sempre la nostra storia e che, diciamoci la verità, piace tanto anche a noi. Ecco perché non cambia mai niente in questo paese di cialtroni.

@DiegoMinonzio

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