Il battello non arriva
e Bellagio affonda

Sembrerà strano, ma il sindaco del paese di Bellagio, in provincia di Como, e il direttore del Moulin Rouge, a Parigi, hanno qualcosa in comune. Entrambi siedono in un ufficio nel quale ci si occupa di un nome – ma sarebbe più giusto dire: di un marchio – famoso nel mondo. Il turista che, in Francia, si sorbisce di giorno tutti i saloni del Louvre, segretamente sogna di riuscire, la sera, a far capolino nel celebre cabaret. Il viaggiatore arrivato sul lago di Como, da parte sua, si sente giustamente in obbligo di visitarne la “perla” prima di tornare a casa.

Questione di riconoscibilità del nome, come detto: nell’uno e nell’altro caso, non ci si sbaglia o ci si confonde. Il turista sa che cosa cerca o, in altre parole, è ben consapevole di ciò che vuole.

A dirla tutta, Bellagio il nome un po’ se lo è lasciato portar via. Agli americani l’idea del paese-gioiello suo lago piaceva tanto che, non potendo smontarlo e imbarcarlo decisero anni fa di piantarne un simulacro tutto nuovo nel deserto del Nevada: il “Bellagio Hotel e Casino” di Las Vegas è aperto dal 1998 e sfrutta tutti i suoi «10.776,75 metri quadri dedicati al gioco d’azzardo», come dice Wikipedia. Sul lago è rimasta la poesia, la bellezza e il riflesso sfiorito degli hotel principeschi: roba che conta, per carità, ma che va promossa, tutelata e dotata di servizi adeguati.

Tenuto conto di tutto ciò, diventa chiaro perché il sindaco di Bellagio, Angelo Barindelli, si sentirebbe oggi meno abbandonato se fosse nel deserto del Nevada. Il suo paese – autentico, romantico e originale quanto un casinò di Las Vegas non potrà mai essere – ha un problema: è l’approdo ideale per i battelli, ma di battelli ne vede pochi. Per questo, Barindelli se la prende con la Navigazione: «Il Patria è fermo, il Concordia pure. Possibile?». Come dire: l’ideale collegamento di Bellagio con il resto del mondo, le barche storiche e incantate che dovrebbero condurre i turisti alla soglia del paradiso lariano fanno acqua da tutte le parti. Anzi, non fanno acqua per niente: rimangono a secco.

È difficile accettare che, nel 2015, in piena era della divulgazione totale e della promozione perfino spregiudicata, non si riesca a capire il valore aggiunto di Bellagio nel contesto del turismo comasco. Probabilmente, non è colpa della Navigazione quanto di un’inerzia maledetta che impedisce alle forze politiche, culturali e amministrative di Como e del lago – ma anche della Lombardia tutta - di unirsi e prendere l’iniziativa perché, come appare ovvio in ogni parte del mondo tranne che qui, Bellagio sia raggiungibile con ragionevole facilità e il suo isolamento incantato venga sì difeso dalle masse devastanti del turismo da colazione al sacco, ma non sia così a prova di infiltrazione da costringere il visitatore ad arrivarci a nuoto.

«I battelli storici» non si stanca di ripetere Barindelli, «sono decisivi per la nostra offerta turistica quanto le ville, i parchi e i borghi ottocenteschi». In effetti, non è un equazione troppo difficile: era già stata risolta sui manifesti Belle Époque che, alle colline verdeggianti, al profilo innevato delle Alpi, alle balconate punteggiate di azalee, sempre accostavano, sulla placida distesa del lago, la sagoma di un battello che, compassato e distinto, trasportava signori e signore, bambini e signorine ovunque desiderassero sulle magnifiche sponde e, in particolare, a Bellagio. Oggi, sostiene il sindaco, si è perduto il filo di questa scontata corrispondenza. E, non a caso, la barca sta affondando.

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