Il vaccino che salverà
i nostri matrimoni

E così, all’improvviso, la sera del 9 marzo 2020 nelle case di milioni di italiani venne pronunciata la più agghiacciante e definitiva delle profezie: “Certo, caro, questo lockdown è una sciagura orribile che ci imprigionerà in casa per mesi e mesi. Però, guardiamo il lato positivo. Avremo finalmente un bel po’ di tempo tutto per noi”. Una sentenza.

Fra le notizie più emblematiche, pedagogiche e, nonostante nessuno voglia sottovalutare il risvolto triste e spesso drammatico della questione, anche spassose della settimana c’è sicuramente l’allarme lanciato dall’associazione nazionale avvocati divorzisti, secondo la quale durante il 2020, vero annus horribilis della pandemia, le separazioni sono aumentate in maniera esponenziale, verrebbe quasi da dire virale, raggiungendo il picco del sessanta per cento in più rispetto alla norma. E probabilmente i numeri sono ancora più eclatanti, visto che la crisi legata al Covid ha ridotto le capacità economiche di molti italiani, impedendogli di sostenere le imponenti spese legali connesse a una separazione prima e a un divorzio poi, obbligandoli quindi a non troncare un rapporto ormai logoro.

Un vero fenomeno sociale e antropologico, che dimostra in maniera oggettiva quanto la convivenza forzata dentro una casa tutto il giorno, tutti i giorni, ventiquattro ore su ventiquattro, senza soluzione di continuità - tanto per rendere l’idea… - metta a dura prova i matrimoni e le coppie in genere fino a farle spesso esplodere. E qui - c’è tutta una vastissima e godibilissima letteratura e filmografia a supporto - onestamente non può non scappare un sorriso. Ah, che tenerezza i nostri piccioncini, che bellezza questi due cuori e una capanna, che commozione queste affinità elettive, queste condivisioni assolute, questi sempiterni valentini, questi cupidi sbaciucchianti e svolazzanti, che davvero non si capisce come riuscissero, nei tempi normali ormai lontani, a non struggersi e illanguidirsi e intristirsi vedendosi e frequentandosi così poco.

E lui lavorava di qui e lei lavorava di là e lui usciva presto e tornava tardi e lei usciva tardi e tornava presto e lui sferragliava in garage e lei spignattava ai fornelli e lui si ingaglioffiva sulla spazzatura differenziata e lei portava il cane dal veterinario e lui ululava in tinello sui sedicesimi di coppe Uefa e lei si struggeva in cucina con Maria De Filippi e Tina Cipollari e lui andava a prendere quello là a judo e lei andava a prendere quella là a danza. Però c’era pur sempre il weekend, direte voi. E invece, il weekend manco per niente. E lui che andava a farsi il triplo giro del Lario in bicicletta con una mandria di esauriti peggio di lui e lei che guai a perdersi l’aperitivo sul lungolago con la Pina, la Gina e la Rina e lui che andava a funghi in Engadina e lei che, caro, guarda che domenica prossima verrà a pranzo mia madre, e infatti lui andava a funghi in Engadina, e lui che falciava il grano a torso nudo e lei che invadeva la Polonia…

Insomma, era davvero un mistero, ma davvero un bel mistero che i due piccioncini e i due cuori e una capanna e i valentini e i cupidi di cui sopra trovassero tutti i giorni, fine settimana compresi, un qualche cosa di inderogabile, di assolutamente inderogabile, da fare, da comprare, da verificare, da controllare che chissà come mai, chissà perché, chissà percome, gli impediva di coronare il loro desiderio incontenibile, implacabile e irrefrenabile di stare insieme, passare le giornate insieme, trascorrere le serate insieme, sempre insieme, insieme, insieme!

Guardate che era un bel mistero, un bel guazzabuglio, ma chissà come mai, chissà perché - ah il logorio della vita moderna con i suoi ritmi circadiani frenetici e insostenibili - erano condannati, con grande disperazione affranta di entrambi, una disperazione assoluta, una disperazione metafisica, a passare in compagnia non più di tre ore al giorno. Che tristezza. Che ingiustizia. Ma, come dicono i saggi, alla fine non contava la quantità di tempo che si godeva con la tua lei o con il tuo lui, ma la qualità di quel tempo. Non era così, forse?

Bene, da quel maledetto 9 marzo dell’anno scorso è tutto finito. Ci si è ritrovati inermi e indifesi nelle grinfie dell’altro, generalmente dell’altra, a dir la verità. E quindi, programmiamo una bella sistemata alla cantina, cambiamo gli armadi per la stagione, diamo una rinfrescata ai muri della camera da letto senza chiamare l’imbianchino, che di questi tempi è meglio risparmiare, e poi è così bello fare le cose tu ed io, non ti sembra di tornare ai tempi dell’università? E pane fatto in casa e pizza fatta in casa e focaccia e verzata e pizzoccheri e anatra laccata e astice alla catalana, tutto fatto in casa, naturalmente, con esiti grotteschi, anzi, granguignoleschi, e poi, alla sera, botta di vita, ecco dei simpatici giochi di società che regalano qualche ora spensierata a noi e ai nostri frugoletti che guarda come sono diventati grandi, crescono così in fretta… E poi, caro, ci vediamo questa serie - scelgo io - e poi ci godiamo questo film - scelgo io - e poi ci sentiamo questa compilation - scelgo io - poi ci leggiamo questi libri - scelgo io - che poi ce li scambiamo e mille altre cose per passare questi mesi di orribile emergenza sanitaria, ma, al contempo, di adorabile e irripetibile convivenza familiare. Una galera.

Un vero peccato che adesso arrivi il vaccino che, va bene, ci salverà tutti quanti dal virus, ma che, purtroppo, ci priverà per sempre di un’esperienza affettiva di questo tipo, destinata a segnare la nostra vita e la nostra memoria come il primo bacio e la prima notte di nozze, ma forse meglio come l’alluvione del Polesine, il cinque maggio e le torri gemelle…

P.S. Naturalmente, ogni riferimento a cose e persone è del tutto causale così come è del tutto casuale il fatto che chi scrive questo pezzo, nonostante lo smart woring aziendale in vigore da un anno, venga ogni giorno a lavorare da mane a sera in una redazione deserta.

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