«In cassa integrazione
e mi faceva lavorare»
Denuncia l’avvocato

Niente archiviazione per le accuse a un legale. Il giudice alla Procura: «Indagate ancora»

Il giudice delle indagini preliminari ha rigettato la richiesta di archiviazione della Procura nel fascicolo a carico di un comasco. Denunciato nei mesi scorsi da una sua ex segretaria, secondo la quale lo studio legale l’avrebbe messa a sua insaputa in cassa integrazione Covid pur facendola lavorare da casa a tempo pieno. Un’accusa respinta fin da subito dal legale, il quale aveva anche contro denunciato la segretaria stessa per averlo minacciato e per averlo sottoposto a pressioni psicologiche al limite della persecuzione.

Ma mentre il gip ha giudicato palesemente infondata la querela presentata dall’avvocato, ha ordinato al pubblico ministero di approfondire le accuse formalizzate dalla segretaria nella sua denuncia.

La vicenda risale all’aprile dello scorso anno quando, dopo l’esplosione dell’emergenza Covid, la segretaria dello studio legale ha iniziato a lavorare in smart working da casa. Stando alla denuncia formalizzata in Procura, nonostante la donna garantisse le sue normali sette ore di lavoro da remoto si sarebbe vista corrispondere uno stipendio, riferito al mese di aprile, decurtato per via dell’apertura della cassa integrazione (ma sul punto l’inchiesta della Procura risulta lacunosa, in quanto non si sa neppure se l’avvocato abbia effettivamente avviato le pratiche) per cinque ore su sette giornaliere.

L’ex dipendente - avvocato e segretaria sono pure in causa davanti al giudice del lavoro - ha così denunciato che per tredici settimane pur lavorando a tempo pieno si sarebbe vista mettere in cassa integrazione. Se così fosse, ipotizza il giudice, si aprirebbero gli estremi per contestare al datore di lavoro il reato di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA