La riforma delle Bcc
e Il valore dei territori

Non c’è stato l’assalto alla diligenza che i pessimisti temevano alla vigilia. E neanche la semplice ratifica dell’autoriforma che gli ottimisti immaginavano. Il governo ha varato un decreto legge che riforma le Bcc, banche di credito cooperativo, prendendo per buone le indicazioni provenienti dal sistema bancario e ci ha messo qualche ingrediente che rende più pepata la soluzione.

Gli scenari che ora si aprono per le nostre Bcc (Cantù, Alzate Alta Brianza, Lezzeno) sono chiaramente delicati ma offrono uno stimolo alle aggregazioni e qualche possibilità per salvare gli interessi del territorio.

Prima di tutto è bene inquadrare la riforma nel quadro di uno scenario internazionale mutato profondamente negli ultimi anni sia per la spinta dei mercati, sia per le normative europee. Oggi il concessionario delle licenze bancarie in ultima istanza è la Bce, la Banca centrale europea. La Bce è anche, in estrema sintesi, il controllore di tutte le banche europee. L’impianto legislativo e regolamentare del sistema è totalmente diverso rispetto a due-tre anni fa perché nel frattempo è entrata in vigore l’Unione bancaria europea e perché dal primo gennaio è scattata la normativa sui salvataggi, il cosiddetto “bail in” che impone alle imprese del credito di far fronte alle crisi gestendole in proprio fino alle estreme conseguenze.

In uno scenario così rivoluzionato l’assetto del sistema bancario italiano è apparso troppo frastagliato e spezzettato. Decine di banche popolari e addirittura 376 banche di credito cooperativo e casse rurali. Per questo il governo è intervento prima sulle Popolari e ora sulle Bcc.

Nonostante il premier Renzi nella conferenza stampa di mezzanotte si sia lasciato sfuggire la parola “banchette” è meglio ricordare quanto pesa il mondo delle Bcc a livello nazionale: oltre 4400 filiali (il 14,4% del totale), oltre 31mila dipendenti, un milione e 200mila soci; impieghi per oltre 135 miliardi di euro (7,3% di quota dell’intero mercato); una raccolta dalla clientela di oltre 160 miliardi di euro; infine, un patrimonio che supera i 20 miliardi di euro.

Se scendiamo a livello locale vediamo che le nostre tre Bcc contano 50 sportelli, quasi 500 dipendenti, attivi per oltre 3 miliardi di euro, riserve per oltre 300 milioni; oltre 13mila soci. Insomma, una realtà davvero significativa in valori assoluti e particolarmente preziosa per il sostegno a un sistema economico diffuso composto da imprese medio e piccole, artigiani, commercianti, famiglie.

La riforma impone alle 376 Bcc, comprese le tre comasche, di aderire a una banca nazionale che sarà chiamata GBC (Gruppo bancario cooperativo), una società per azioni di cui le Bcc avranno il 51% del capitale, il restante 49% andrà a soggetti istituzionali. Ciascuna Bcc dovrà sottoscrivere un contratto con la GBC alla quale cederà maggiori o minori, o nulle, quote di sovranità in ragione della propria solidità patrimoniale, efficienza gestionale e parametri oggettivi.

Per evitare il rischio di ricorsi, la riforma proposta - che dovrà essere convertita in legge dal parlamento - concede alle Bcc la possibilità di rimanere autonome a patto che entro i diciotto mesi di applicazione abbiano riserve per almeno 200 milioni di euro, paghino una tassa del 20% delle riserve e si trasformino in Spa. Conviene? No.

Dove andranno allora le tre banche Bcc comasche? Nessuno parla ufficialmente per ora, anche perché il decreto è tutto da studiare. Ma il presidente della Bcc di Cantù, Angelo Porro, si limita a suggerire la linea: «Coesione». Solo così, dice, le nostre banche riusciranno a salvaguardare lo spirito mutualistico, il radicamento nei territori e il sostegno all’economia locale e il ruolo sociale e mutualistico.

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