«La Rosa libero,
è una vergogna»

La vedova di Brambilla: «Ha tagliato la testa a mio marito, a noi niente scuse e risarcimenti»

Lipomo

Ci vuol poco a riannodare il filo del tempo. «Tre anni e dieci mesi il primo novembre», ricorda Domenica Marzorati, ex moglie di Giacomo Brambilla, il piccolo imprenditore ucciso il primo febbraio del 2010 nel retrobottega dell’armeria Arrighi di via Garibaldi.

L’ennesima emorragia di una ferita mai rimarginata è conseguenza di una decisione assunta dal tribunale di sorveglianza che ha affidato ai servizi sociali Emanuele La Rosa, ex titolare della pizzeria “La Conca d’Oro” di Senna Comasco, suocero di Alberto Arrighi, che lo aiutò a disfarsi del cadavere, prima assistendolo nella decapitazione poi - lui, non altri - chiudendo la testa nel forno. l’assistenza agli anziani. Di fatto La Rosa è un uomo libero.

«Non covo sentimenti di vendetta, ma è ovvio che la concessione di questo beneficio sia fonte per me e per mio figlio di grande delusione e dolore - dice la signora Brambilla -. Anche perché in questi anni non abbiamo mai ricevuto nulla, e non faccio soltanto riferimento a un risarcimento in denaro. Da La Rosa non abbiamo mai avuto neppure mezza parola di scuse,».

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