L’Italia come Miglio
l’aveva prevista

Nella tristezza dello scenario politico di bassissimo impero che fa da sfondo alle farraginose trattative per la formazione di un qualunque governo vale la pena di tentare una riflessione su un aspetto rivelato dal voto per le politiche di marzo e da quelli successivi nelle regionali di Molise e soprattutto Friuli Venezia Giulia. Sembra infatti che gli elettori abbiano deciso di realizzare quello che chiedeva il grande scienziato della politica Gianfranco Miglio: un’Italia federale divisa in tre macroregioni, Nord, Centro e Sud.

Nella sua opera del 1990, edita da Laterza, “Una costituzione per i prossimi trent’anni” una lunga intervista sulla Terza Repubblica di Marcello Staglieno al professore comasco, quest’ultimo tracciava un’ipotesi di riforme che partendo dall’assunto per cui l’Italia non poteva diventare uno “Stato nazionale come la Francia” ma regolare la convivenza dei propri cittadini “soltanto nel quadro di un assetto federale o confederale” che “riconoscesse le particolarità etniche, storiche, sociali, culturali ed economiche” definiva la potenziale esistenza delle tre marcoregioni.

“Una ricerca condotta anni fa dal compianto professore Innocenzo Gasparini (e purtroppo mai pubblicata) – spiegava Miglio- ha dimostrato che le relazioni economiche fra le Regioni padane, fra quelle dell’Italia centrale e quelle dell’Italia meridionale configurano l’esistenza di almeno tre potenziali “macroregioni”.”Il crisma di un assetto costituzionale formale dovrebbe consacrare, ad un certo punto, questo nuovo modo di essere dell’unità degli Italiani: aggiungendo, alle tre grandi unità particolari di cui ho parlato, le isole, le altre Regioni a statuto speciale, e un territorio federale attorno a Roma (anche per risolvere il problema difficile della città capitale e del suo statuto). Spunti di grande attualità che all’epoca suscitarono scandalo e polemiche anche perché l’intellettuale lariano si apprestava a diventare “l’ideologo” della Lega di Umberto Bossi pur restando in contatto con altre forze politiche tra cui l’allora Pci con i comaschi Gianstefano Buzzi e Dario D’Italia che si recavano nella sua abitazione in Salita Cappuccini a lezioni di politica.

Ciò che Miglio delineava allora, lo stanno decidendo gli italiani pur nella volatilità del voto che caratterizza l’epoca post ideologica. I confini delle tre grandi unità non sono fisici ma politici e forse rispecchiano proprio, in parte, quelle particolarità se non etniche, almeno sociali, culturali ed economiche.

Il Nord ha voltato le spalle al Pd e in particolare a Renzi dopo il fallimento delle riforme proposte dall’ex premier e bocciate dal referendum e si è riaffidato al centrodestra trainato però questa volta dalla Lega di Salvini. Dopo la vittoria in Friuli il Carroccio guida tutte le regioni settentrionali con l’esclusione del Piemonte e di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige con queste ultime che hanno peculiarità proprie. Al centro resiste, anche se con una crescente erosione del proprio consenso, il Pd con i suoi alleati. I frutti della lunga stagione riformista avviata in Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria proprio grazie all’avvento delle Regione e al vasto consenso ottenuto all’epoca dal Pci, sembrano poter maturare ancora, anche se meno rigogliosi di prima. Infine il Sud che ha sposato a grande maggioranza la causa del movimento 5Stelle che, pur non guidando alcuna Regione (ma se il 4 marzo si fosse votato anche per quelle ne avrebbe conquistate una buona parte) ha conquistato un consenso vastissimo. In questo caso, come insegna il Molise, la volatilità del voto sembra ancora più alta. Di certo però, come sosteneva Miglio, i risultati elettorali attraverso la fiducia tributata a chi ha promesso il reddito di cittadinanza in un territorio in cui le difficoltà economiche acuite dalla lunga crisi sono superiore rispetto al resto del Paese, rivelano delle particolarità storiche, economiche e culturali.

Si può dire che il professore abbia visto lungo. E che forse uno dei principali problemi italiani sia la costante miopia dei politici incapaci di vedere lontano.

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