Morto Rigoni Stern
il "sergente" delle montagne

Lo scrittore ucciso lunedì dalla malattia nella sua Asiago,
che non volle mai abbandonare

«Passavano le stagioni. Passavano e ripassavano gli uccelli migratori; sulle montagne lentamente crescevano gli abeti. Nel mondo accadevano tante cose: la guerra in Corea, il ponte aereo, il Patto Atlantico, le elezioni, l’invasione delle motorette, l’automazione. Ma sulla terra le cose vanno come sempre, il sole nasce e tramonta, maturano le messi, cade la neve. Anche nella piccola casa vicina al bosco: nell’inverno si fanno mastelli di legno, nell’estate si lavora la terra e si tagliano le piante, nell’autunno si caccia. Proprio come mille anni fa e come tra mille anni ancora».
Così Mario Rigoni Stern, montanaro doc, interpretava lo spirito della montagna in una delle sue ultime opere, Il libro degli animali (Einaudi), e così me ne parlò ancora durante il nostro ultimo incontro l’inverno scorso. Ora non c’è più. Se ne andato lunedì sera ucciso dalla malattia a 86 anni e, com’era in vita, ha preferito la solitudine anche nella morte. Ha chiesto che la notizia della sua fine fosse data a funerali celebrati solo con la moglie Anna, i
tre figli con i due nipoti ed il fratello Aldo dietro la bara. La Einaudi aveva appena riproposto l’ultima edizione deIl sergente nella neve sedicesimo titolo dei Gettoni di Elio Vittorini uscito nel 1953. Sono passati 55 anni, e di questo libro che ormai è un classico, sono state fatte decine e decine di edizioni, tanto da ribaltare "il potenziale equivoco" della frase ambigua e perentoria posta dallo stesso Vittorini nel risvolto della copertina grigio - azzurra: «Mario Rigoni Stern non è scrittore di vocazione».

dallo scritto al teatro
Il sergente nella neve si è ispirato anche l’attore Marco Paolini che ne ha fatto uno spettacolo teatrale di grande successo. Lo spettacolo è il diario del viaggio compiuto in Russia dall’attore nel 2004, sulle tracce dell’ormai mitico sergente.
Un libro che vince l’usura del tempo, ma rischia di mettere in ombra tutta la splendida produzione di Mario Rigoni Stern, grande interprete della natura e dei suoi miracoli, contenuta in circa venti titoli.
L’autenticità del libro (lo scrittore, fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943, aveva scritto la prima stesura del suo diario bellico nel Lager iB, in Masuria, Prussia Orientale, non molto distante dall’odierna Kaliningrad), ha conquistato lettori di tutte le generazioni che si sono identificati nel povero alpino disperso nella neve russa, in lotta per la sopravvivenza migliaia di chilometri lontano dalla sua terra.
Rileggere il libro a sessant’anni di distanza dai fatti narrati, significa recepire un discorso equilibrato e struggente. Raccontando gli orrori della guerra, «con un realismo integrale, non cronachistico, né stemperato in una cosmesi elegiaca», l’autore non si scaglia mai contro questo o quel responsabile, ma documenta sofferenze e tormenti con onestà, lontano da ogni tipo d’ideologia, che non sia quella d’una straordinaria carica d’umanità. Le disavventure del sergente nella neve nella steppa russa, sono ancora oggi un monito per il mondo la cui memoria si fa sempre più indifferente al suo stesso destino. De Il sergente nella neve abbiamo parlato spesso con Mario Rigoni Stern, e ad ogni chiacchierata i suoi ricordi si arricchiscono sempre di nuove immagini.

leggere molto per capire
La lettura de Il Sergente della neve può aiutare, attraverso le sofferenze del passato, a capire i nostri tempi solcati da inquietanti allarmi?
«Se la gente ha un momento di riflessione, penso di sì - rispondeva Stern - Ma oggi la gente ha bisogno più d’immagini che di letture e va alla ricerca di rappresentazioni sempre più coinvolgenti, sbalorditive e scioccanti. A leggere ci pensa sempre meno. Invece avrebbe bisogno di leggere molto per capire, per ritrovarsi con le proprie sensazioni e valutare con un po’ più di buon senso e ottimismo i tempi che viviamo».
L’emozione che un libro testimonianza come Il Sergente nella Neve riesce a suscitare nel lettore, era rimasta tale anche per il suo autore a distanza di tanti anni.

montagna sinonimo di vita
Per lo scrittore di Asiago, l’amore per la montagna restava in cima ad ogni significato. «Il valore spirituale che proviene all’uomo dalla montagna, non è misurabile con l’umanità, ma con l’individuo che affronta la montagna e che la vive. Si fa tanta retorica su questo concetto, ma dipende sempre dall’uomo che pratica la montagna riuscire a catturare quel senso d’armonia e serenità che le vette comunicano. Il mio principio è questo: amare la montagna significa amare il dio che la abita. Questo amore si chiama rispetto, cura, attenzione. La montagna è come la vita: va usata, ma non sperperata o danneggiata».
Francesco Mannoni

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