Ostaggi arrivati in Italia
Prima notte a casa

Sono arrivati questa notte alle tre i cinque italiani rapiti in Egitto e rimasti nelle mani dei sequestratori per dieci giorni. " E' stata molto dura" hanno affermato al loro arrivo, e "abbiamo temuto di non farcela"

Dieci giorni in mezzo al deserto, con temperature fino a 60 gradi, ostaggi di un gruppo di predoni armati fino ai denti. È stata grande la paura dei cinque piemontesi rapiti in Egitto e liberati dopo dieci giorni di prigionia. «Ad un certo punto pensavamo fosse finita», hanno detto stanotte all'arrivo all'aeroporto di Caselle Torinese. Esausti, con i segni della fatica sul volto, ma anche con la serenità d'animo di chi sa di avere scampato il pericolo.
«È stata dura, davvero dura», sono state le prime parole di Giovanna Quaglia, 52 anni, appena scesa dal C27J 'Spartan' dell'Aeronautica Italiana che l'ha riportata a casa insieme agli altri quattro compagni d'avventura. L'aereo è atterrato all'1:45 in punto, dopo sei ore di viaggio dal Cairo, davanti ai parenti degli ex ostaggi visibilmente emozionati. «Mi batte forte il cuore, non vedo l'ora di abbracciarla», diceva pochi minuti prima dell'atterraggio Raffaella Negri, la cognata di Giovanna Quaglia.
Ad accoglierli c'erano anche il comandante della Regione Carabinieri Piemonte e Valle d'Aosta, generale Vincenzo Giuliani, che ha portato loro il saluto del ministro della Difesa Ignazio La Russa, e il console generale d'Egitto a Milano, signora, Sharin Maher. Lorella Paganelli e Michele Barrera, la più giovane e il più anziano dei rapiti, preferiscono evitare la folla dei giornalisti e corrono subito ad abbracciare i loro cari.
Giovanna Quaglia, Mirella De Giuli e Walter Barotto, invece, accettano di presentarsi davanti agli obiettivi di telecamere e fotografi. «Abbiamo avuto paura», sono le parole con cui Giovanna Quaglia rompe per prima il silenzio. «Siamo stati trattati sempre bene - si affretta a precisare - ma sono state numerose le volte in cui ci siamo chiesti se ce l'avremmo fatta a tornare a casa». Soli in mezzo al deserto, con acqua e cibo razionati, senza sapere cosa passava nella mente dei loro rapitori.
«L'assalto è stato traumatico - racconta ancora la Quaglia - ma abbiamo subito capito che erano predoni e che ci volevano rapire a scopo estorsivo. Erano una quarantina, forse anche di più, e ci hanno spostati più di una volta. Durante il giorno ci nascondevano sotto le jeep, con un lenzuolo bianco addosso per resistere al grande caldo. L'acqua e il cibo erano quelli che ci dovevano servire per l'escursione. La nostra vera forza - continua - sono state le guide egiziane, che ci hanno sempre protetto, e la consapevolezza che il diritto internazionale esiste».
I momenti bui sono stati tanti, «ma i più difficili - rivela la De Giuli, 70 anni - sono arrivati sabato e domenica, quando non arrivavano notizie e la trattativa sembrava ad un punto di stallo». Del blitz di domenica non sanno nulla: «Spari? Non li abbiamo sentiti - dice - però verso sera abbiamo capito che stava accadendo qualcosa, perchè ci hanno fatti salire tutti e diciannove, noi italiani più la ragazza romena e i tedeschi». «Mi hanno messo il Gps in mano - riprende la Quaglia - e ci hanno detto 'right to gò. Ci siamo affidati a Dio e abbiamo guidato nel deserto per cinque ore, forse sei, senza ruota di scorsa e con pochissima acqua. Non avevamo la possibilità di sbagliare, perchè saremmo morti».
Poi, di colpo, tra le dune sono spuntate delle persone: «Subito abbiamo avuto paura che fossero altri predoni - svela Walter Barotto, 68 anni - ma per fortuna erano militari egiziani e abbiamo capito che era davvero finita». Il resto lo racconteranno ai magistrati che da Roma arriveranno a Torino per interrogarli già nelle prossime ore. Poi la loro vita tornerà piano piano alla normalità. «Cosa farò per prima cosa? La spesa», dice Barotto lasciandosi finalmente andare in un sorriso. Ma tra qualche mese lui e tutti gli altri potrebbero decidere di tornare a viaggiare. «È stato un evento così eccezionale - conclude la Quaglia - che non influirà sulla nostra voglia di conoscere altri Paesi».

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