Saltapicchi al potere,
Roma ripete la sua storia

Nella scena finale de “Nell’anno del Signore”, quella in cui due carbonari vengono giustiziati in Piazza del Popolo dal boia del cardinal Rivarola, Pasquino, l’autore misterioso dei versi satirici contro il potere, nascosto tra la folla, guarda il volto raggiante del bellissimo patriota Angelo Targhini, vede la ghigliottina tagliargli la testa, ripensa ai suoi colloqui con il giovane, il suo entusiasmo, l’ostentazione della sua purezza, le sue illusioni sulla natura benigna del popolo, il suo candido infantilismo, e proferisce una sola frase: «Era un saltapicchio…». Nel gergo romanesco, un bimbo, un ragazzino scapestrato, uno sprovveduto, uno che non sa niente della vita.

Ora, il film di Luigi Magni non è solo un capolavoro per la straordinaria prova d’artista di un cast formidabile composto da Manfredi, Tognazzi, Sordi, Cardinale, Enrico Maria Salerno (insomma, quasi all’altezza di quello di “Perfetti sconosciuti”…) e per la capacità di ricostruzione storica di quella Roma marcia e fetida degli anni della Restaurazione, ma soprattutto per aver sbattuto sul tavolo e messo alla berlina il velleitarismo dei moti risorgimentali, dei loro sostenitori, per quanto eroici e appassionati, la loro incomprensione dei feroci meccanismi del potere che non possono venire smontati da inni, appelli al coraggio e parole gonfie di retorica, il loro totale distacco dalla realtà. Tanto è vero che quando i due carbonari in attesa di giudizio sentono delle urla fuori da Castel Sant’Angelo, pensano che finalmente la gente si sia sollevata e venga a salvarli. Ma è vero il contrario. I popolani infuriati invadono la prigione perché vogliono che l’esecuzione avvenga al più presto: molti di loro hanno affittato balconi e verande per assistere allo spettacolo e temono di dover restituire i soldi. Altro che rivoluzione.

Che grande film. Che grande metafora. Che grande pedagogia. E quanti legami con la Roma di oggi, dove tutto è cambiato ma come al solito non cambierà niente, marcia e fetida come quella dei tempi di Leone XII, insensibile a tutto, indifferente a chi c’è e a chi comanda, onnivora e ruminante, che tutto tritura, tutto sminuzza, tutto trangugia e tutto trasforma in liquame. Che saltapicchi, come direbbe il ciabattino Cornacchia – la finta identità utilizzata da Pasquino per nascondersi -, gli uomini nuovi del Movimento Cinque Stelle. Ragazzi. Liceali. Rivoluzionari da tavolo del biliardo. Comparse trascinate a loro insaputa dai misteriosi ghirigori del destino dentro una pièce mille volte più grande di loro. Dopo il trionfo alle elezioni di primavera, i più cinici tra gli scribacchini avevano pronosticato, senza neppure una gran colpo di fantasia, che Roma con il suo Moloch del potere avrebbe fatto polpette della sindaca Raggi entro Natale. Tutto sbagliato. E’ appena finito agosto e siamo già alla canna del gas. C’è solo da capire se, da ora in poi, la fine sarà rapida e spietata oppure un’agonia straziante e carica di risvolti grotteschi come quella del povero Marino, a pensarci bene un grillino e un raggiano ante litteram. Precursori.

Certo, c’è qualcosa di davvero sgradevole nel maramaldeggiare dei media sulle disgrazie, i pasticci e i disastri combinati dai grillini, quando per anni si sono invece molto spesso astenuti dal descrivere e denunciare - d’altronde è noto il coraggio leonino che la categoria sfodera contro il padroni del vapore - le porcate, lo schifo e i traffici del vero nazareno tra destra e sinistra per spartirsi il fiume di denaro che continua a finire nel pozzo senza fondo della capitale. Ma questo non toglie nulla alla gravità della guerra per bande, del bamboccismo da Asilo Mariuccia, delle faide correntizie, delle rese dei conti su Twitter, della demagogia stracciona sugli stipendi dei dirigenti, delle coltellate più consone a dorotei avellinesi che a preclari apostoli del Dio-web.

D’altra parte, che i Cinque Stelle marcassero male lo si era visto da subito, quando si sono ottusamente immolati nell’idolatria del berlinguerismo d’accatto e nella patetica esibizione dell’onestà come unico valore della politica. Comico. L’onestà è un valore pre-politico che nulla ha a che fare con la capacità di governo. Ovvio che un politico non deve rubare: nel caso, lo si prende, lo si processa, lo si condanna, lo si sbatte in galera e tanti saluti. Ma questo non toglie che il mondo sia pieno di cretini onestissimi. Che vogliamo fare? Gli affidiamo la valigetta con il pulsante della bomba fine di mondo?

L’ideologia dell’essere antropologicamente superiori, oltre che diversi, di essere gli unici unti dal Signore, che tutto quello che c’era prima era uno schifo e tutto quello che c’è da fare può essere fatto da loro e solo da loro, perché loro rappresentano un cambio di civiltà, perché loro sono puri, algidi, cristallini, adamantini, incorrotti e incorruttibili è il tarlo che ha già portato alla rovina prima il Pci (che aveva una classe dirigente un milione di volte più colta e preparata di quella dei grillini) e poi la Lega (che aveva un classe dirigente?). Loro sono solo gli ultimi. Dove sono le competenze? Gli studi? I percorsi e gli staff professionali, come ad esempio quelli del primo ministro britannico Theresa May (ben ricordati in una nota urticante di Ferrara sul “Foglio”)? Dove la comprensione della complessità, del mercato? Dove sono le scelte vere su Atac, Ama, Olimpiadi? E il vero dramma è che questa Caporetto permetterà ai soliti noti, ai gatti e alle volpi, ai margnaffoni patentati, genetici e professionali del nostro circense centrodestra e del nostro doppiomoralista centrosinistra di rimettere le zampe nel pentolone e continuare tutto come prima. Hanno avuto gioco facile: è bastato mettere gli onestoni alla prova e si è subito scoperto il bluff.

Aveva capito tutto la scarmigliata senatrice Paola Taverna quando aveva lanciato l’allarme prima delle elezioni: “A Roma c’è un complotto per farci vincere”. Stratega. Che sia lei la nuova Raggi?

P.S.: Sillogismo romano-comasco. Se la giunta Bruni (Alemanno) ha fatto i disastri e la giunta Lucini (Marino) li ha aggravati, non potrà che arrivare una giunta Ceruti-Rapinese (Raggi) a risolverli. Molto pittoresco.

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