sofferenza
le domande
senza risposta
dopo il dolore
le nostre risposte

C’è una citazione che credo indicativa dell’atteggiamento con cui poter seguire le due giornate del “Cortile dei gentili” a Lecco. Ce l’ha ricordata il cardinale Gianfranco Ravasi nell’intervista rilasciata al nostro giornale: «Ricordo sempre le parole di un teologo: “Dio non ci protegge da ogni sofferenza, ma ci sostiene in ogni sofferenza”. Penso, per esempio, al dolore di due genitori che si trovano ad avere un bambino gravemente malato, sia dalla nascita o successivamente, per un incidente qualsiasi, è una situazione drammatica, difficilissima da sostenere ed io stesso non so se ne sarei capace. Confrontarci su questo ci aiuta ma non risolve tutto. A Lecco avremo contributi e testimonianze di grande profondità ma certe domande resteranno tali».

Di fronte al dolore, specie se innocente, l’umanità di ciascuno viene sconvolta, rivoluzionata. Scattano domande radicali sul significato dell’esistenza e perfino sull’esistenza di Dio. Davanti al dolore di un bambino, per usare una citazione di Alessandro Manzoni, pur scritta in un altro contesto, «il pensiero si trova con raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie, che son due deliri: negar la Provvidenza o accusarla». Questo è un dato di fatto ma è altrettanto vero che non tutte le domande possono trovare una risposta e men che meno quella sul perché un innocente possa essere offeso da malattie gravissime. Come ha detto Mario Romano Negri, presidente della Fondazione della provincia di Lecco, la scelta del tema del Cortile lecchese, nasce da due stimoli opposti. Da una parte una testimonianza del professor Veronesi, che confessava di aver perso la fede proprio di fronte al dolore dei bambini, dall’altra un testo fondamentale di don Carlo Gnocchi intitolato “Pedagogia del dolore innocente”. Sono le due facce della medaglia. Nelle tante interviste pubblicate in questi giorni dal nostro quotidiano, due in particolare ci hanno impressionato, proprio per l’approccio ad un mondo così complicato. Una è quella della dottoressa Maura Massimino, direttrice dell’Unità Pediatrica dell’Istituto nazionale tumori di Milano. Lei con questo dolore ha a che fare tutti i giorni da trent’anni ma non condivide le parole di Veronesi: « Non credo che il dolore innocente abbia a che fare con l’esistenza o meno di Dio. Noi affrontiamo ogni giorno questi problemi per risolverli e basta. In tanti anni di vita, assistiamo al miracolo quotidiano di come in circostanze estreme si possano trovare risorse come amore, studio e buone cure in un ospedale pubblico. Non sappiamo dire se per miracolo divino o semplice buona fortuna. Ma talvolta riusciamo a ricordare, comunque vada, che Dio non ci ha abbandonati». E ancora, l’altra testimonianza è quella di Catia Cariboni, la mamma di Colico che ha voluto che il suo Francesco nascesse nonostante una malattia rara e gravissima: «Molti ci chiedono se a sostenere e motivare la scelta mia e di mio marito sia stata la fede. Io rispondo sempre che non è una questione di fede, c’è a monte un discorso umano. La fede può essere un aiuto in più ma noi l’abbiamo fatto per amore e affetto per il nostro bambino». Come si vede gli spunti sono tantissimi ed il tema di una profondità assoluta. Rifletterci sopra oggi è essenziale perché non si può pensare al dolore solo quando ci coinvolge. Come ha detto il professor Franco Molteni, direttore della divisione di medicina riabilitativa di “Villa Beretta” a Costa Masnaga, «il dolore può essere innocente, noi non siamo innocenti nei confronti del dolore».

© RIPRODUZIONE RISERVATA