Star: «Nelson», grande poeta
Paolo Conte che invita gli amici

In pochi anni ha pubblicato “Elegia”, “Psiche” e ora questo “Nelson”, dischi che lo mostrano più in forma che mai sia come compositore, come poeta e come performer e non è poco per questo schivo leguleio che ha compiuto 73 primavere alla scorsa Epifania

COMO Stavamo in pensiero, bisogna ammetterlo, ogni volta che Paolo Conte pubblicava un live o una rilettura di antiche pagine. Un'apprensione motivata dal sospetto di un “blocco dello scrittore” definitivo che ci avrebbe privato di un talento così indiscutibile da provocare cadute nell'idolatria pura del soggetto nonostante si tratti, come ben si sa, di un uomo schivo, non troppo incline alla celebrazione, per nulla agli aspetti pop e mondani della sua professione tanto che lo chiamiamo sempre “avvocato” come se solo “cantautore”, “compositore”, “maestro” non fossero che termini da poco.
E quell'“avvocato”, va detto, viene pronunciato, anche solo pensato con un rispetto e un amore riservati a nessun altro laureato in giurisprudenza, neppure, anzi soprattutto Agnelli.
Ma non divaghiamo anche se ascoltare Conte spinge inevitabilmente a viaggiare con la mente. Bisogna, quindi, salutare il nuovo disco, con un definitivo sospiro di sollievo.
Il “blocco” è alle spalle. Anzi: chi lo ferma più? In pochi anni ha pubblicato “Elegia”, “Psiche” e ora questo “Nelson”, dischi che lo mostrano più in forma che mai sia come compositore, come poeta e come performer e non è poco per questo schivo leguleio che ha compiuto 73 primavere alla scorsa Epifania. Non solo: ora quando non pubblica si diverte a partecipare alle opere di amici come Jannacci (hanno duettato nella storica “Bartali”) o gli Avion Travel (ha partecipato a quel “Danson metropoli” che gli rendeva omaggio) ma anche a quelle di personaggi meno assimilabili al suo stile come i Marlene Kuntz e Malika Ayane. Il suo stile, peraltro, risplende nei quindici pezzi di questo nuovo disco che porta il nome di un cagnolone molto amato dall'artista ed è dedicato a uno degli ultimi grandi manager della musica italiana, quel compianto Renzo Fantini che con la sua prematura scomparsa ha lasciato orfani Conte, Guccini e Capossela. Una lunga introduzione al pianoforte, l'inconfondibile voce e poi tutta l'orchestrina aprono le danze con “Tra le tue braccia”.
Swingante e perfetto l'omaggio al personaggio più celebre di P.G. Wodhouse, “Jeeves”. Il francese fa capolino in “Enfant prodige” e nel bellissimo duetto con Laura Conti di “C'est beau”. Ci sono riferimenti all'illustre passato, come “Clown” che guarda spudoratamente a “Max”, come “Massaggiatrice” e  “Galosce selvagge” che sono  pezzi che tutti gli imitatori di Conte vorrebbero scrivere (e chi altri potrebbe partorire un titolo come “Galosce selvagge”?), come ne “L'orchestrina” che è figlia di tutte le “Boogie” e le “Come di”. L'amore per il Sud America si esprime in “Les amantes del mambo” e in “Nina”, una milonga che è quasi habanera. L'inglese appare in “Sarah” e nella conclusiva “Bodyguard for myself” ma è il napoletano la lingua che si presta al capolavoro di “Nelson”: “Suonno e' tutt'o' suonno” è così bella che sembra esistere da sempre, un po' come Paolo Conte che, se non ci fosse, nessuno avrebbe saputo inventare ma c'è, per fortuna c'è. E non sono tanti quelli che non vedi l'ora di ascoltare in concerto (dal 9 al 13 novembre sarà al Teatro degli Arcimboldi a Milano, dal 30 novembre al 4 dicembre all'Auditorium della Conciliazione a Roma), soprattutto quando il nuovo repertorio, certo meno amato di quello storico, infesta le scalette dei concerti. Anzi, Conte forse è l'unico che può mettere fianco a fianco un pezzo nuovissimo con uno storico senza sfigurare. It's wonderful...
Alessio Brunialti

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