Diario da Seoul/3
Highline alla coreana

Uno dei luoghi sicuramente più rilassanti di Seoul per qualche ora di respiro o solo per una piccola passeggiata tra est e ovest (invece di prendere il metrò) è Cheon-gye Chon. Il nome, come la maggior parte dei nomi coreani è composto e il suo significato è dato dalla relazione tra le due parole. Cheon-Ji significa letteralmente “paradiso e terra”. La storia di questo fiume è metafora di quella di tutta la città di Seoul. Il fiume, conosciuto e abitato nella città antica, su cui sorgevano un'infinità di casupole, fu prosciugato per creare un'arteria autostradale all'inizio dei lavori di ricostruzione della città, iniziati dopo la Guerra di Corea (1954). I quartieri popolari che si allungavano sul fiume da est a ovest furono “risanati”. Sfrattati gli abitanti, le zone furono ripensate e esattamente nel letto del fiume per molti anni una miriade di automobili ha sostituito il dolce scorrere dell'acqua. Piccole attività commerciali che sfruttavano il canale scomparvero per sempre.

Le fotografie dei primi del Novecento lasciano intravedere un panorama molto povero ma anche affascinante: casette in legno una attaccata all'altra sostenute da palafitte con balconcini che davano sul lato del fiume mentre l'ingresso era collocato sulla strada. Il dislivello era molto alto perché nei mesi primaverili e estivi la pioggia era abbondante e il livello del fiume si alza notevolmente. Sui balconi panni stesi ad asciugare, frutti, e l'immancabile cavolo bianco che tutt'oggi viene appeso un po' ovunque per seccare ed essere poi conservato sotto salsa piccante per l'inverno. All'inizio del 2000 la città di Seoul decise di distruggere la strada ad alto scorrimento (che noi definiremmo almeno una superstrada!) per ridare vita al fiume antico: alla modica cifra di 348 milioni di dollari la città riguadagnò un punto verde e di acqua.

Cheon-Ji corre ora per tutta la parte nord del cuore della città fino a sfociare a est nel fiume Hangag. Si tratta di circa sei kilometri di “oasi” ricostruita, con piante, sassi, piccole cascate, e due grandi marciapiedi disegnati a mo di percorso nella natura. Non mancano panchine, segnaletiche e luci, sculture non proprio indimenticabili e attrazioni di ogni tipo (esiste un vero e proprio Festival e una programmazione di eventi e presentazioni lungo il percorso). Passeggiando si scopre la città in modo davvero diverso. La sensazione è quella des bateaux-mouches a Parigi: guarda re la città dal basso in alto, anche se certo Seoul non è proprio la ville lumière… Il dislivello tra le due corsie di macchine (che fiancheggiano il percorso verde) e la passeggiata sui due marciapiedi con il piccolo fiume che scorre in mezzo, è molto alto. Si cammina quindi in un tunnel, in basso, protetti da muraglioni ai lati. Il vento soffia all'interno di questo microcosmo dando l'impressione di non essere nel traffico. I rumori sono attutiti, le foglie ondeggiano, i sassi perfettamente posizionati per attraversare il rigagnolo anche con “tacco 10” producono un effetto straniante.

È visibilmente finto ma dopo un po' inconsciamente facciamo finta che non lo sia. Regalarsi tutto il percorso di andata e ritorno, come ha fatto il vostro piccolo esploratore, dà grandi soddisfazioni. Si fiancheggia prima la zona di Chongno-sam-ga: da un lato vediamo grandi building in costruzione e altri terminati da poco e dall'altro un quartiere ancora denso di botteghe di fabbri e di microproduttori di ingranaggi e pezzi di ricambio, utensili per elettricisti e altre piccole specialità…. Proseguendo si arriva al mercato Dongdaemun che per noi occidentale più che un mercato è un quartiere completamente votato allo shopping con centri commerciali che vendono esclusivamente vestiti! Mi sono recata, ignara di quello che mi aspettava a Dongdaeum, per trovare un paio di lenzuola: mossa stolta e incauta.

Prima di tutto il “mercato” è un quartiere. Rimane un piccolo mercato all'ingrosso ma quello che tutti nominano è l'insieme dei centri commerciali. Centinaia di negozi su un numero di piani incalcolabili presentano migliaia di prodotti di qualità medio scadente, spesso copie ben fatte con nomi brillanti di prodotti Europei e Americani. Alcuni esempi? “N” New Freedom, copia impeccabile di New Balance. “Adidos”, “All Shoes” per Coverse -All Stars. Si tratta forse di licenza poetica? I loghi sono identici e spesso i manufatti provengono dalle stese fabbriche che producono le grandi marche qui in Corea. Ci sono poi le firme coreane e le copie delle firme coreane: una giungla insomma! Per ora mi diverto a leggere questi nomi nascosti con grande maestria: font, colore, modello tutto, dico tutto è identico. Per necessità ho comprato uno zainetto blu semplicissimo che si chiama Supreme. Non so di chi sia parente: vero, copia, falso o semplicemente anonimo? Tra montagne di calzini personalizzati onestamente geniali (ma che di solito non sopravvivono al primo lavaggio), folle oceaniche di consumatori che vengono qui a tutte le ore, bancarelle di cibo fritto e piccante è difficile non distrarsi. La zona è aperta 24 ore su 24 i negozi hanno il loro picco la sera.

È un'esperienza: personalmente la definirei un'esperienza scioccante e interessante. Cosa spinge queste persone a trovarsi nella calca e far passare chilometri di stand tutti simili con urla e spintoni ? La gente si strappa letteralmente le cose di mano, ci si cammina sui piedi e nella maggior parte dei casi non si può provare nulla e bisogna quindi scegliere a occhio: un delirio! Per chi avesse deciso di guadare dal basso il quartiere di Dongdaemun, continuando a camminare, luci e insegne sono colorate e divertenti: promettono un look diverso per ogni giorno e una moda sempre in cambiamento. Proseguendo la passeggiata, il percorso si fa sempre meno artificiale e le luci meno forti, i palazzi più disordinati. Passiamo vicino ad un altro mercato, questa volta un mercato di circa 2 km che propone solo oggetti usati: Dokkaebi market. Oggetti di ogni sorte e qualità, per la maggior parte distrutti, sono ammassati su tavoli alti venti centimetri o poggiati a terra su grandi tele. “Antiques” senza poesia e abiti slavati sembrano non finire mai.

L'umanità è notevole: molte persone anziane che girovagano, chiacchierano, scrutano, studenti scappati dalla noia di un'incomprensibile lezione di inglese, cinesi venuti in cerca di fortuna, turisti che hanno seguito il “everything you should see in Seoul” fino all'ultima pagina... Un micro-mondo disordinato e allegro, pittoresco anche se esteticamente non accattivante. Nessuno sembra comprare nulla ma c'è molta gente e gli oggetti impilati uno sopra l'altro compongono pile interessanti, scultoree, caratterizzate da accoppiamenti improbabili. Continuando il nostro percorso dentro Cheon-gye Chon usciamo pian piano dal centro della città. Si cominciano a vedere spazi più liberi e disordinati, palazzi di altezze diverse e residenze a blocchi: in tutte le parti periferiche della città e nella grande regione-città ci sono interminabili quartieri residenziali creati da costruzioni alte e strette con un grande vano centrale per l'ascensore. Cambiano i colori che dipingono la striscia al centro della costruzione, il font dei numeri che primeggiano sul fronte di ogni struttura ma per il resto sono tutti identici.

Verso la fine di questo percorso due sostegni per l'incrocio della superstrada che correva al posto del fiume sono stati lasciati e creano un panorama urbano molto interessante. Una piccola ricostruzione delle palafitte fa contrasto a poche centinaia di metri. In questa zona, meno curata e finta, ci sono pochi visitatori. Come i palazzi anche la tipologia di passeggiatori cambia seguendo il fiume: nei quartieri centrali si incontrano uomini d'affari che si prendono una pausa camminando a passo veloce al telefono, signore che chiacchierano dopo lo shopping con borsette e immancabile dolcetto e anziani agghindati da professionisti del trekking per l'uscita. Ora vedo passare un signore anziano con un bastone, mi sorride e ha un volto davvero interessante. Vorrei potergli parlare e scoprire che ne pensa di questo fiume e della sua storia. Si muove sicuro anche se traballante, conosce il percorso, sono certa venga ogni giorno, o quasi… lo seguo per un po'. Ci sorridiamo, un inchino, d'obbligo, ci scrutiamo per un po' e poi riparto verso la via del ritorno: mancano quasi 6 chilometri per ritrovare la cascata con il cono di luce che apre il percorso. Si fa notte. La città assume altri colori e atmosfere.
Susanna Pozzoli

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