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Giovedì 12 Gennaio 2012
Camosci abbattuti in Val d'Intelvi
«La Provincia ammetta gli errori»
Critiche a Villa Saporiti dal delegato provinciale della Lega italiana per la protezione degli uccelli
A volte il riconoscere un proprio errore è sinonimo di onestà intellettuale, anche se ciò può costare parecchio sul piano personale e professionale. Certamente è difficile il dover ritornare su una decisione presa, perché a volte si hanno informazioni incomplete o non del tutto corrette che fanno propendere a pensare di essere nel giusto per quello che stiamo facendo.
Ciononostante è difficile comprendere come si sia potuto arrivare alla determina di caccia al camoscio nella Val d'Intelvi, per il semplice fatto che vengono a mancare tutti i presupposti che avrebbero dovuto essere il caposaldo della determina stessa.
Innanzitutto mi è difficile comprendere come persone seppur «esperte e preparate» possano con la sola osservazione stabilire che un capo è «palesemente affetto da malattia». Al riguardo bisogna, per onestà d'informazione, dire che i censimenti sono stati condotti dai soli cacciatori, e non da guardacaccia operanti in quell'ambito.
La dimostrazione del fatto che forse c'è un "problema" sulla presunta «conoscenza di dati scientifici» in possesso dell'assessorato provinciale alla caccia è messa in rilievo dalla mancanza di una qualsiasi forma di malattia degli esemplari fino ad ora abbattuti. La rassicurazione viene dal dipartimento veterinario stesso dell'Azienda sanitaria locale di Como.
Sarebbe peraltro stato certamente di parte avvalorare solo la tesi del dottor Marco Zanetti, medico veterinario ticinese che segue da diverso tempo la popolazione dei camosci del monte Generoso, fermo sostenitore nel ritenere gli animali, sulla base di studi recenti, immuni da patologie.
Un altro presupposto venuto a mancare è che, a fronte di un paventato pericolo di aspetto sanitario, certamente non devono essere i cacciatori i primi attori: non può essere assunta a caccia ordinaria una verifica sanitaria su una popolazione di ungulati. La verifica deve essere svolta da guardie della stessa amministrazione, non necessariamente abbattendo il capo, ma possibilmente narcotizzandolo per permettere prelievi mirati a stabilire la reale situazione sanitaria.
Anche "solo " dieci esemplari sono dunque un palese regalo alla caccia , anche in considerazione del fatto che i capi sono stati assegnati a chi li ha abbattuti.
Un altro appunto che si può trovare in questa "querelle" è che la popolazione di camosci si trova prevalentemente in territorio elvetico, fatto di non poco conto, visto che si stanno prelevando capi che forse non sono del tutto patrimonio dello Stato Italiano, "autorizzando" quindi gli animalisti svizzeri ad occuparsi della critica situazione che si sta profilando "in casa loro".
Spero con questo di aver risposto al presidente del Comprensorio alpino di caccia Alpi Comasche, Armando De Lorenzi, rassicurandolo che non sempre noi "detrattori" siamo impreparati e poco documentati. Forse siamo solo poco ascoltati.
Gianluigi Luraschi
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