«Cellule staminali
risorsa importante»

Le cellule staminali stanno alimentando grandi speranze e consentono già di intervenire nella cura di gravi malattie. A tu per tu con il medico e ricercatore bergamasco Paolo Fiorina, che lavora tra Harvard e il San Raffaele.

A tu per tu con il medico e ricercatore bergamasco Paolo Fiorina, che lavora tra Harvard e il San Raffaele, maturità scientifica al Sant'Alessandro nel 1986. Le cellule staminali stanno alimentando grandi speranze e consentono già di intervenire nella cura di gravi malattie. Sono diverse le applicazioni terapeutiche di questi microscopici «mattoncini» di ricambio del nostro corpo, oggetto di ricerche e sperimentazioni con risultati incoraggianti. Spesso si tende a parlare solo delle cellule staminali da embrione umano, la cui estrazione in Italia è vietata per questioni etiche e legali. Se curarsi con le staminali si può, è doveroso soffermarsi su quelle prelevabili. Per sensibilizzare l'opinione pubblica e incentivare l'accesso alla donazione del cordone ombelicale, ricco di staminali, l'Avis provinciale bergamasca e gli Ospedali Riuniti di Bergamo hanno di recente fatto partire il progetto «Il dono del sorgere della vita».

Il sangue donato dal cordone, dopo analisi e controlli, viene depositato in apposite banche. In Lombardia quelle autorizzate sono due, a Milano e a Pavia. Parliamo delle staminali con il medico e ricercatore bergamasco Paolo Fiorina, ex-alunno del Collegio vescovile Sant'Alessandro dove ha conseguito la maturità scientifica nel 1986, che lavora tra il San Raffaele di Milano e l'Harvard Medical School di Boston, prestigiosa università americana, dove si sta distinguendo per i suoi studi sulle cellule staminali per la cura del diabete.

Professor Fiorina, davvero le cellule staminali rappresentano la nuova frontiera della medicina per la salute?
«Per anni abbiamo riparato organi danneggiati o semplicemente bloccato la progressione delle malattie con farmaci più o meno costosi. Con le cellule staminali possiamo in qualche modo andare al livello successivo, quello della rigenerazione degli organi danneggiati. Con le staminali si può rigenerare un organo danneggiato e renderlo più giovane, mentre è ancora presto per dire che si possano ricreare organi in toto anche se la strada è quella».
Quali presentano le caratteristiche migliori?
«Le cellule staminali possiedono tre caratteristiche essenziali: sono cellule indifferenziate, capaci di auto-mantenimento e di differenziarsi virtualmente in quasi ogni tipo di cellula adulta. Possono essere classificate in cellule staminali embrionali, che derivano dalle primissime fasi della divisione cellulare embrionale; cellule staminali del cordone ombelicale, contenute in quei 60-100 cc di sangue cordonale che è l'interfaccia tra feto e madre, e contengono una vasta serie di sottopolazioni di staminali, alcune delle quali con spiccate caratteristiche embrionali; infine, le cellule staminali adulte sono virtualmente contenute in ogni organo».
A suo parere, in Italia, come si sta affrontando un argomento così delicato?
«Ebbene a mio giudizio in Italia esistono troppe limitazioni sull'argomento, che frenano la ricerca sulle staminali. Vorrei dire alcune cose. Oggi usare staminali embrionali non vuole più dire toccare l'embrione, in quanto ci sono linee cellulari derivate che sono mantenute e non richiedono la soppressione di nessun embrione. Oggi si può, pertanto, fare ricerca sulle staminali embrionali senza toccare alcun embrione. Le staminali cordonali possono essere donate, ma non raccolte per uso autologo (proprio): qui siamo di fronte ad una limitazione severa. In pratica l'Italia, a mio parere, si sta arroccando sulle staminali adulte e sulle cordonali solo per uso solidaristico, cioè in campo oncologico, tagliando fuori tutta la medicina rigenerativa. Non credo ad una graduatoria delle staminali, credo ad una libera scienza che studia e trova, tra le varie staminali, le risposte migliori».
Lei sostiene che delle staminali bisogna iniziare a considerare le caratteristiche e non la provenienza. In che senso?
«Ci sono staminali dell'adulto, per esempio le mesenchimali, che sono molto più simili alle staminali mesenchimali del cordone che non alle staminali ematopoietiche dell'adulto. In altre parole le staminali ottenute dall'adulto non sono tutte uguali tra loro, la stessa cosa vale per le cordonali».
Sono in atto varie sperimentazioni cliniche nel mondo. Quali sono i risultati più importanti?
«Focalizzo l'attenzione sulle staminali del cordone ombelicale, che stanno diventando sempre più un'opzione terapeutica per diverse patologie, oltre alle già note patologie ematologiche. In particolare segnalo il loro uso nelle malattie onco-ematologiche, endocrine, neurologiche e nei disordini enzimatici. Le cellule staminali presentano caratteristiche immunologiche e anti-infiammatorie. Questa abilità è legata alla loro immaturità che le rende non solo meno “rigettabili” dal sistema immunitario, ma anche in grado di spegnere le reazioni infiammatorie. Le potenzialità di differenziazione delle cellule staminali cordonali sono state stabilite e riportate in letteratura. L'interesse della medicina rigenerativa, in particolare, si sofferma sulle staminali cordonali più simili alle embrionali. Le cellule staminali cordonali mesenchimali si sono dimostrate inoltre in grado di differenziarsi in cellule ossee, cartilaginee e adipose, così come in cellule producenti insulina».
A che punto siamo in Italia?
«Diversi ricercatori in Italia sono all'avanguardia nel settore: vorrei ricordare Elena Cattaneo dell'Istituto Carlo Besta di Milano, una delle massime esperte di cellule staminali embrionali, oppure Paola Romagnani a Firenze e altri ancora. Mi lasci ricordare che a Bergamo ci sono due gruppi importanti: il gruppo di Giuseppe Remuzzi con i suoi studi sulle staminali mesenchimali nelle malattie renali e il gruppo di Martino Introna con i suoi studi ematologici, agli Ospedali Riuniti».
Professor Fiorina, a Boston è assistant professor alla Harvard Medical School e associate scientist presso il centro di studi sui trapianti e sulle cellule staminali del Children's Hospital. Attualmente di cosa si sta occupando in particolare?
«Io mi occupo di trovare una cura per il diabete di tipo 1, cioè il diabete che colpisce i bambini e che riconosce una causa autoimmune. Io voglio liberare i bimbi dalla schiavitù dell'insulina e del monitoraggio continuo delle glicemie e sto esplorando ogni tipo di approccio in questo senso: staminali adulte, staminali cordonali, anticorpi monoclonali».
La Lombardia ha il record di raccolta in Italia di sacche di sangue cordonale. Eppure nel nostro Paese gran parte dei cordoni ombelicali viene gettata. Perché?
«So che circa il 95% delle staminali cordonali viene buttato via, io credo per vari motivi. A causa dei costi difficilmente sostenibili dal servizio sanitario nazionale, la conservazione non è possibile a livello gratuito e su tutto il territorio nazionale nelle banche pubbliche, che sono presenti in numero limitato e non in tutte le regioni. È quindi importante che venga liberalizzata anche in Italia l'apertura di banche private per la conservazione di sangue cordonale. Se il sistema fosse liberalizzato e la normativa vigente si modificasse a favore di una libera donazione, anche autologa (personale, per il proprio neonato) e non solo eterologa (destinata ad un'altra persona), si abbatterebbero i costi e non si sarebbe costretti a rivolgersi a banche estere. Tra l'altro in quasi tutto il mondo, incluse Cina, Usa e India, è consentita la raccolta delle staminali per uso autologo».
C'è una competizione tra conservazione autologa ed eterologa?
«No. Non esiste a mio giudizio, in quanto il 95% di tutti i cordoni ombelicali viene cestinato. Io penso che donazione solidaristica e autologa dovrebbero andare a braccetto e trovare dei punti comuni per sensibilizzare alla raccolta».
Lei, a proposito, è anche direttore scientifico di “Sorgente”: società italiana con sede a Milano e mission la promozione e l'utilizzo delle cellule staminali da cordone ombelicale a scopo rigenerativo e anti-infiammatorio. La banca di “Sorgente” rappresenta la prima banca di sangue da cordone ombelicale privata ad oggi presente in Germania, cui anche Elisabetta Gregoraci, moglie di Flavio Briatore, si è affidata dopo il parto per la conservazione del proprio cordone ombelicale. Lei prima diceva che la normativa vigente in Italia sulla delicata questione della donazione cordonale va modificata …
«Io credo che si debba modificare la legislazione italiana consentendo di istituire banche presso strutture sanitarie private per la conservazione, ad uso autologo, delle staminali del cordone ombelicale. Questo farebbe anche lievitare il settore, evitando la fuga all'estero non solo di cervelli e soldi, ma anche delle nostre staminali. Lo Stato dovrebbe vigilare sui criteri, perché chi fa la raccolta la faccia in maniera corretta. Al limite si potrebbe creare un sistema misto».
Attorno all'impiego terapeutico delle staminali non gravitano solo le speranze di milioni di malati, ma anche interessi economici. A volte i media parlano di turismo delle cellule, di viaggi della speranza in Centri stranieri di Paesi emergenti che iniettano le staminali fuori da ogni regola a malati che rischiano di contrarre altre patologie. Cosa ne pensa e quali sono ad oggi i trattamenti davvero sicuri?
«In tutti i settori ci sono aspetti positivi e negativi. Sarebbe come dire che perché un politico ruba eliminiamo la classe politica, oppure perché c'è un sacerdote che sbaglia eliminiamo la Chiesa. Le cellule staminali sono una realtà importante in clinica. A fianco di centri che promettono cure miracolose ci sono tantissimi centri, anche privati, che si adoperano per creare opportunità terapeutiche nell'ambito delle staminali. Ricordo qui alcuni degli utilizzi più importanti. Le cellule staminali corneali autologhe si sono rivelate in grado di curare le cornee lesionate; le staminali midollari mesenchimali si sono rivelate in grado di curare il diabete giovanile; in California stanno sperimentando le staminali embrionali nelle lesioni spinali; staminali vascolari sono state usate con successo per riparare le lesioni vascolari ed accelerare le ferite…».
Alla Harvard Medical School di Boston, ha anche condotto uno studio per il quale nel 2007 è stato insignito dell'AST/JDRF grant, assegnato alla migliore ricerca trapiantologica con impatto sul diabete. Può illustrarla in breve?
«Chiedermi di una ricerca del 2007 è come chiedermi di parlare di un'altra era. In realtà allora proponevano di mobilizzare le cellule staminali ematopoietiche con lo scopo di ridurre l'infiammazione e l'attacco del sistema immunitario contro i trapianti. Le cellule staminali, infatti, sono dotate di imprevedibili attività anti-infiammatorie e immuno-modulatorie». Dagli esami condotti in laboratorio è risultato che i topi reagiscono molto bene al trattamento e accettano come proprie le nuove cellule del pancreas. Quando il farmaco sarà provato sull'uomo per verificarne l'efficacia come cura per il diabete?
«Adesso siamo molto più avanti. Abbiamo migliorato le nostre idee e tecniche, e abbiamo nuove strategie. Una ricerca sull'uomo ha di recente dimostrato che l'idea di usare le staminali ematopoietiche per la cura nel diabete è molto promettente. Purtroppo nell'uomo, ad oggi, in pratica nessun paziente nel lungo periodo è rimasto insulino indipendente, cioè è guarito dal diabete nel lungo periodo. La malattia tende a recidivare, ma ci stiamo attrezzando per questo».
Le università italiane dispongono di fondi sufficienti per incentivare un giovane ricercatore a restare nel proprio Paese? Per Lei fare il ricercatore all'estero, seppur in un'università così prestigiosa, è stata una scelta libera oppure obbligata?
«Le università italiane hanno pochi fondi e li gestiscono male. D'altra parte, se nessuna università italiana figura tra le prime 150 al mondo un motivo ci sarà. Inoltre, i pochi soldi che arrivano vanno quasi tutti a finire in spese correnti, cioè in stipendi di segretarie, amministrativi, carta da fotocopie, cancelleria, pulizia, e pochissimi in soldi per ricerca vera, cioè topi, animali, anticorpi...».
Parliamo degli anni passati al Sant'Alessandro. Che ricordo conserva di quel periodo?
«Il mio ricordo del Sant'Alessandro è molto positivo, non solo perché ero ragazzo e avevo una voglia incredibile di sapere e di scoprire il mondo, ma anche perché ricevevo degli stimoli incredibili dall'ambiente del Sant'Alessandro. Ricordo con affetto i miei professori e la grande preparazione ricevuta, che ha contribuito a formarmi».

Teresa Capezzuto

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