Sport
Mercoledì 26 Gennaio 2011
Trinchieri al microscopio
Lo racconta Portaluppi
L'ha conosciuto da giocatore quando era assistente dell'Olimpia e responsabile del settore giovanile, l'ha ritrovato a Soresina sempre da giocatore da head coach del club lombardo e ora da dirigente della Vanoli Braga lo riabbraccerà
- A Soresina, che poi è diventata Cremona, Trinchieri ha vissuto la prima stagione da capo-allenatore.
«E' arrivato l'anno prima di me, nel 2005. Ha subito dimostrato di avere le idee chiare, sia nella costruzione della squadra che nella gestione. Ricordo allenamenti particolarmente intensi, in stile settore giovanile, e credo che il principale merito di Trinchieri in quel periodo sia stato quello di far convivere la sua anima “Juniores” con le esigenze di un club professionistico. Credo che la stessa durezza di allenamenti abbia continuato ad esigerla a Veroli e ora a Cantù, indipendentemente dal pedigree dei giocatori».
- Trinchieri passa per essere un duro ma è difficile trovare un giocatore che ne parli male.
«E' esigente, certo, ma non direi duro. Sa dove vuole arrivare e come farlo, percepisce quando è il momento di mostrarsi più concilianti e quando è necessario un atteggiamento meno tollerante. Ma al confronto con la squadra non si sottrae mai e questo è fondamentale per la compattezza dello spogliatoio».
- Avrebbe scommesso sull'ascesa di Trinchieri?
«Le qualità si intravedevano ma per gli allenatori non contano solo le doti tecniche e gestionali ma anche il contesto nei quali si è chiamati ad operare. Andrea finora non ha mai allenato in club dalle disponibilità economiche illimitate e invece ha dimostrato di saper ottimizzare le risorse che la sua società si poteva permettere».
- Cantù in campo è un piacere per gli occhi, soprattutto per un ex giocatore.
«Assolutamente sì: nella pallacanestro che sempre più spesso si affida agli isolamenti, ai pick'n'roll, alle soluzioni individuali dal perimetro la Bennet interpreta una pallacanestro di grande respiro, che muove la palla, godibile in attacco ma anche in difesa perché è chiaro che una squadra di Trinchieri non può prescindere dall'aspetto difensivo. L'impronta tattica in una sua squadra è facilmente riconoscibile, al di là dei risultati, è così da quando allenava i giovani a Milano».
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