«Europa o B è lo stesso. Ma nessuno tocchi le mie vittorie a Como»

L’allenatore della plurititolata Comense: «La pallacanestro femminile è scesa di livello in maniera spaventosa»

La pallacanestro femminile? «È scesa di livello in maniera spaventosa». Le giovani? «Non si lavora sui fondamentali». Zandalasini? «Non sa andare a sinistra». Pennestrì? «Quella volta che gli facemmo lo scherzo della coppa...».

Aldo Corno, 71 anni e ormai comasco d’adozione, non è cambiato, ma d’altra parte lo storico coach ex Comense ne ha ben donde vista la sua carriera mostruosa nel basket femminile.

«Sto in vacanza a Marina di Ragusa – dice al telefono con il suo inconfondibile accento romano -. Mia moglie è di origini siciliane, e allora tutti gli anni veniamo qua al mare. A volte incontriamo Lambruschi (l’ex Comense e Cantù si è trasferito proprio lì, nda.) ma lui adesso è a Como...».

Un anno fa ha fatto una scelta cestistica di vita. Per la prima volta infatti è sceso in serie B, a Giussano, portando tutta la sua grande esperienza.

Una scelta nata per amicizia. E con un’idea a lunga gittata: creare un’Academy femminile, un college tipo quello della Stella Azzurra Roma al maschile. Poi mi hanno dato in mano la serie B, e siamo arrivati a dieci minuti dalla A2. Anche quest’anno proveremo a salire, ma senza obblighi.

Dalle Coppe dei Campioni al campionato cadetto, è un bel salto all’indietro.

Ma non me faccio un problema: alla mia età va bene anche così a due passi da casa. Ormai sono un pensionato... Gli scudetti e le coppe riguardano il passato, e ora guardo le cose in maniera diversa: metto la mia esperienza e le mie conoscenze, insegno la pallacanestro e mi sto divertendo.

Questo basket femminile però come fatica.

È sceso in maniera spaventosa. La serie A1 è inguardabile: ci sono tre squadre, che però fuori dall’Italia non fanno strada, e tutto il resto è fuffa.

Eppure abbiamo delle Nazionali giovanili d’oro.

Però quando le under passano nei campionati senior, arrivano che sanno fare solo un paio di cosette. Perché nelle società si lavora sulle giovani solo in funzione di vincere medaglie. Ma non paga. Basti pensare che le ultime giovani entrate fisse in Nazionale A sono state Masciadri e Macchi... Oggi c’è Zandalasini, ma è una che non sa andare a sinistra. Le giovani non vengono curate individualmente: bisognerebbe lavorare solo di fondamentali.

Nelle settimane scorse è scomparso Antonio Pennestrì, il presidentissimo della Comense.

Ringrazio il cielo di averlo chiamato tre giorni prima. Sapevo che stava molto male: lui con un filo di voce mi ha detto “quando esco la richiamo”... Siamo stati legatissimi per tutto il periodo alla Comense, poi però quando sono andato a Schio ero diventato un nemico e aveva interrotto i rapporti. Li aveva riallacciati negli ultimi anni

La Comense era uno squadrone, ma chi faceva il mercato?

Lui mi chiedeva e io davo le indicazioni. Le giocatrici le ho sempre scelte io. Come italiane l’arrivo di Pollini fece la differenza. Poi quando il figlio di Pennestrì, Stefano, venne a fare il mercato, io me ne andai: la squadra la faccio io, non la compro su Postalmarket.

Qual è stato il momento più bello del connubio Pennestrì-Corno?

Quando ci siamo abbracciati dopo aver vinto la prima Coppa dei Campioni, a Poznan. Era il suo sogno, quello che gli mancava, e gliel’avevo promesso: gli dissi, “presidente, eccola qua”. Poi però gli facemmo uno scherzo micidiale...

Quale?

Al ritorno in aeroporto a Milano organizzammo una messa in scena come se nella coppa fosse nascosta la droga. Un mio amico finanziere arrivò con i cani che si misero a fiutare: allora portarono Pennestrì nell’ufficio della Finanza e fecero finta di segare la coppa, che era bellissima in ottone forgiato. Lui urlava e ci cascò in pieno: come su Scherzi a parte.

Resta il trauma dell’epilogo della società.

Ai tempi d’oro, quella dei finanziamenti illeciti era una prassi, nel basket femminile come in tanti sport. Non che fosse legale. Accetto quindi i suoi primi due errori, ma non l’ultimo perché è andato nel penale, credo per debiti personali e non certo per la Comense. Ma nessuno osi toccare le nostre vittorie: eravamo i più forti.

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