Il ciclone Sacchetti, è lui l’arma in più

Basket A2Dietro il primato e i risultati dell’Acqua S. Bernardo Cantù si vede in maniera decisiva la mano del tecnico. Poche parole, tanti fatti e il gruppo prima di tutto: anche i più scettici si sono adeguati e adesso la squadra vola

Hanno consegnato le chiavi della squadra a un omone con i baffi. Poche parole e tante fatti. Come sempre ha fatto in carriera. Prima da giocatore e poi da allenatore. Avanti, sempre, con umiltà. È Romeo Sacchetti il segreto della Pallacanestro Cantù, ormai è assodato. Ce ne siamo accorti, un’altra volta, l’altra sera a Latina, ennesima pera di una serie che. ora, è arrivata a sei vittorie consecutive.

Prima il lavoro

Umiltà dicevamo. Glielo si legge negli occhi. Prima il lavoro, poi i ragazzi, poi il suo staff e dopo, solo dopo, lui. D’altronde cosa d’altro ci si poteva aspettare di uno che del Sacchetti atleta (un argento olimpico a Mosca 1980 e un oro europeo a Nantes 1983) dice: «Mi hanno sempre attribuito più dei meriti che ho avuto, sono stato un buon giocatore, niente a che vedere con i fuoriclasse che ho avuto al fianco, ma un ottimo uomo squadra, che conosceva il valore della chimica di gruppo?».

Eccolo qui, il concetto. La chimica del gruppo. Trasposizione perfetta del Meo fuoriclasse al Meo allenatore, altrettanto fuoriclasse (fare un giro nella bacheca della Dinamo Sassari o nell’Hall of Fame della nostra Nazionale per crederci). Sacchetti fa gruppo, Sacchetti vuole il gruppo, Sacchetti sa che, se vincerà, è perché tutto nel gruppo è filato liscio.

Quello dell’Acqua S. Bernardo si sta cementando. Intorno a uno staff che per Meo si butterebbe nel fuoco. E non solo perché Ugo Ducarello conosce ogni segreto del capo allenatore, perché Tommy sia il figlio che sa dosare nozioni e informazioni, perché Max Oldoini dall’alto della sua intelligenza cestistica abbia già capito da che parte giri il fumo e si sia calato nella parte e perché uno come Luciano D’Ancicco è il preparatore atletico che tutti vorrebbero trovare un giorno lungo la propria strada professionale.

Poche parole e tanti fatti. A Sacchetti, spesso, basta alzare un sopracciglio, prima ancora che la voce, per farsi capire dai giocatori. Che hanno cambiato mentalità. Questione di carisma, parla la sua carriera per lui: chi oserebbe, in questo momento, contraddirlo? Ecco perché alcuni musi lunghi o mal di pancia sono velocemente stati assorbiti. In passato, probabilmente, sarebbero diventati bombe a orologeria. Ora, invece, quell’orologeria, è stata ben presto disinnescata. A colpi di buon senso.

E così, dall’altra sera a Latina, Cantù è diventata, per la prima volta in stagione, una squadra di dieci-giocatori-dieci. Che dovrà gestire, affar suo, l’allenatore. Ma, per intanto, Francesco Stefanelli, all’esordio, è diventato subito un fattore: partito un po’ contratto, si è sciolto nel bel mezzo della contesa e ha dato un apporto non di poco conto.

Gli stranieri fanno sul serio

Perdipiù c’è il contributo dei due stranieri, che stavolta l’hanno fatto sul serio, facendo dimenticare certe medie un po’ così di recente. Roko Rogic e Dario Hunt, in coppia, hanno detto 38 (nel senso dei punti, 20 del croato e 18 dell’americano), con il centro che ha pure sfiorato la”doppia doppia” con pure 9 rimbalzi.

Poi, nella più classica della vittoria di squadra (ricordate il concetto di gruppo), anche le zampate di classe di Matteo Da Ros. Il capitano. Che ha capito quel che può e deve dare, anche a livello di gioco sporco. Un giorno, in confidenza, il presidente Roberto Allievi ci disse: «La nostra rivelazione sarà Da Ros». E non era, credeteci, il momento propizio per scommettere sul giocatore. Ma nella Cantù che cresce non dovremmo più sorprenderci di nulla.

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