Tanti auguri, Antonello Riva
«Sessantenne che se la passa bene»

Compleanno tondo tondo per il bomber dei bomber, indimenticato campione canturino

Sessant’anni, un gran traguardo. Con quel fisico lì, poi… Antonello Riva, il bomber dei bomber per eccellenza non si nasconde mai, nemmeno sui social. Una foto allo specchio a petto nudo mette in evidenza una tartaruga da far invidia ai ventenni. Con il basket ha chiuso da un pezzo, ma i suoi numeri resistono: recordman di punti in serie A (14.397) e in Nazionale (3.784) e, sempre in azzurro, detiene con i 46 segnati nel 1987 alla Svizzera, il primato di punti in un singolo incontro.

Bomber, a quante richieste di intervista siamo?

Ho già perso il conto, comunque troppe. Però mi hanno fatto gli auguri in tanti.

Sessant’anni che traguardo sono?

Sintetizzando, non sono troppo felice per aver tagliato questo traguardo, ma lo sono enormemente per la qualità della vita con cui sto vivendo questi anni.

Cosa le dà questa pace interiore?

I miei quattro nipotini che mi posso godere in pieno, grazie all’attività lavorativa nell’ambito del networking che mi ha dato quello che cercavo. Ossia tempo libero. Per esempio, domani andrò oltre il Gottardo, in una valle, con le pelli di foca.

Si sente giovane?

Mi sento come uno di sessant’anni che sta bene. A quaranta, quell’“anta” mi creò qualche problema. Ma giocavo ancora, quindi ci pensai poco. Ora a sessanta mi auguro di non vivere più quel piccolo trauma psicologico.

Un compleanno, vien da dire, senza basket. Oramai l’ha totalmente abbandonato…

Il ruolo di dirigente nel basket mi stava stretto e non mi piaceva. A prescindere dalle motivazioni, non mi dava le giuste soddisfazioni ed ero preoccupato anche economicamente. Se devo essere sincero, non mi manca.

Peccato che una leggenda come lei sia lontano da quel mondo, non trova?

Dispiace perché era la mia vita. Ma ho voluto cambiare stile, non dover più sottostare, anche da dirigente, a orari, appuntamenti, partite. Ero stanco di quella vita in cui non si poteva prescindere da una data.

Si ritiene fortunato ad aver trovato un’alternativa?

Sì, ma bisogna anche cercarsela la fortuna. Non è mica stato facile lasciare tutto. Mi sono concesso un anno di prova, ma ci ho visto giusto.

Niente più basket, quindi?

Ma no. Appena mi alzo, guardo tutte le notizie di pallacanestro.

Con una carriera così, quali ricordi Riva mette sul podio?

Sicuramente la partita che mi ha consacrato come giocatore ossia la semifinale scudetto Milano-Cantù nel 1981, vinta dopo tre supplementari. Il resto è conseguenza: la prima Coppa dei Campioni con Cantù, una vittoria cercata dall’inizio, battendo una squadra come il Maccabi, che rappresentava una nazione intera. Poi ci metto l’oro europeo di Nantes con la Nazionale: quella era davvero la mia squadra, con rapporti unici, costruiti negli anni grazie a un ct come Gamba.

Quanta Cantù in questo podio…

Sono nato qui vicino, da qualche mese sono anche cittadino benemerito: è naturale sentirmi canturino. E poi con quei risultati ottenuti, non potrebbe essere diversamente.

E il resto?

Sono legato a tutto quello che ho fatto, anche se con Milano e Pesaro i risultati sono stati meno soddisfacenti. La sconfitta in finale contro Caserta è bruciante. Ma una cosa mi lascia tranquillo e spensierato: so di avere sempre dato tutto me stesso in quello che ho fatto.

Come giudica questa Cantù in A2?

Forse mai come quest’anno, finalmente, c’è una struttura societaria adeguata. Per me è una garanzia. L’organico mi sembra completo, via un americano ne è arrivato un altro promettente. Giudizi non mi piace darne, però. Specialmente in questo periodo di pandemia, in cui una stagione può essere condizionata da tanti piccoli episodi.

Cantù può tornare subito in A?

Mi piace la serietà dei piccoli passi, non apprezzo invece il continuo cambiare di formule e format. Faccio un grande in bocca a lupo a Cantù. Con il massimo rispetto verso tutti, la casa di Cantù è la serie A.

Le dispiace che suo figlio Ivan non abbia avuto una carriera come la sua?

No, ha fatto il suo percorso in piena libertà e abbiamo anche giocato insieme a Rieti. Ha fatto la sua esperienza, lo sport è una scuola di vita, anche se non vinci scudetti.

Quanto tiene ai suoi infiniti record?

Dico sempre che sono fatti per essere battuti. Ho segnato 46 punti contro la Svizzera perché mi sono messo d’accordo con Gentile, la passava solo a me, poi Gamba si accorse. Ci tengo il giusto a questi primati, ma mi piacerebbe raccontarli ai miei nipotini: “guardate il nonno che numeri faceva…”.

Riva a un bivio: da una parte una giornata di sci alpinismo, dall’altra una cena con LeBron James. Cosa sceglie?

Ringrazio per l’opportunità di conoscere un grande campione, ma metto le pelli di foca e inizio scalare la montagna. Magari il giorno dopo vado a cena con LeBron…

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