Braglia in un libro
«Il mio calcio di valori»

«Un percorso che è anche un messaggio - dice Simone -: poi chi lo vuole recepire, meglio», Che messaggio?

Il sottotitolo dice quasi tutto: «Da Ponte Chiasso ad Anfield Road, il calcio pulito di Simone Braglia». L’ex portierone comasco, oggi promotore finanziario per Widiba (ma ancora sul campo come preparatore nel Cittadella e nella Pro Olgiate) sabato presenta a Genova il suo libro “La porta di un calcio pulito”.

Un dialogo con il giornalista Giovanni Fabiano, in cui racconta la sua vita calcistica attraverso i valori cui è sempre stato legato.

«Un percorso che è anche un messaggio - dice Simone -: poi chi lo vuole recepire, meglio», Che messaggio?

«Ho avuto la fortuna di crescere in un settore giovanile dove si formava l’uomo assieme al calciatore. Favini, Rustignoli, Massola, Tosetti formavano uomini, anche per il dopo carriera. Mi guardo intorno, e cosa vedo? Quel compito è stato cancellato. Conta solo il denaro. Quello cui ambiscono i genitori, con il miraggio di una carriera milionaria per il figlio, quello di agenti e società, che hanno smesso con la valorizzazione del territorio, per inglobare giovani stranieri da tutte le parti, sperando nel colpo. E i valori? Risultato: non abbiamo più portieri al top, difensori centrali pochi, le squadre italiane dal 2002 in Europa sono comparse e la Nazionale vince l’Europeo ma rischia di star fuori dal Mondiale. Io continuo a pensare che valorizzare e formare i ragazzi del territorio sia fondamentale».

Nel libro Braglia parla anche tanto di Como: «Il settore giovanile, ma anche le delusioni, tante, a livello professionistico. Sandro Vitali mi chiamava alle 6.30 del mattino per convincermi a firmare, nell’anno di Mondonico. Ma poi mi preferirono Paradisi. E io resto convinto che me la sarei potuta giocare. Ma c’era una gerarchia che passava sopra il Mondo. Ricordo quando a San Siro con l’Inter tutti mi davano titolare, e nello spogliatoio, invece, alla lettura della formazione, ero di nuovo in panchina. Quella volta feci fatica a non piangere». Ok, ma anche un anno da protagonista in C con Preziosi: «Sì, ma come finì? Che andai a parlare dei premi per conto della squadra e lui per reazione mi mise fuori dal gruppo. E aggiungo il colloquio con Porro per diventare allenatore dei portieri: ma non mi chiamarono. Una maledizione. E pensare che da ragazzino, quando percorrevo l’autostrada, guardavo il Sinigaglia sognando. Quello che ho vissuto a Genova avrei tanto voluto realizzarlo a Como: essere amato e considerato».

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