Cantù, Jazz Johnson è rock
«È la mia etica del lavoro»

Scopriamo il nuovo americano, una delle rivelazioni di questo avvio di stagione

Se di Leunen e Smith il tifoso canturino medio sapeva già tutto, non altrettanto poteva dirsi degli altri quattro nuovi americani ingaggiati dall’Acqua S.Bernardo. E allora, le sei partite di Supercoppa sono servite a fornire una prima sommaria conoscenza di Woodard, Kennedy, Thomas e Johnson. Ebbene, proprio quest’ultimo è quello non solo che ha destato molta curiosità (non arriva al metro e ottanta, ma è tostissimo fisicamente) ma che ha pure riscosso tanti apprezzamenti. Anche perché forse non ce lo si aspettava, tenuto conto che le attese nei suoi confronti non erano eccelse, essendo un esterno che parte dalla panchina. E invece...

«Se tifosi e addetti ai lavori hanno prestato particolare attenzione al mio gioco per tutta la durata della Supercoppa, per me è solo un onore e desidero ringraziare tutti - fa presente il diretto interessato che il 26 settembre compirà 24 anni -. Significa davvero molto per me. Sono felice che le persone riconoscano ciò che posso portare alla squadra e con quanta passione scendo in campo. Per me, personalmente, non è stata una grande sorpresa perché ho davvero messo tutto me stesso in questa competizione. Lavoro molto duramente per migliorare e cerco costantemente dei metodi per essere il più utile possibile alla squadra. Sono contento che il mio avvio sia stato subito positivo, ma so che c’è ancora molto margine di miglioramento».

Aggressività e punti nelle mani anche stando in campo per pochi minuti: queste le caratteristiche, subito confermate in Brianza, che l’hanno contraddistinto al college e che hanno convito la coppia Della Fiori-Pancotto a portarlo a Cantù, per far cambiare ritmo alle partite.

Ora dovrà abituarsi a un basket più tattico e a difese che spesso collassano. Così dovrà imparare a gestire e incanalare l’aggressività al cospetto di quelle difese che lo costringono a pensare. Insomma, non dovrà abusare di quel suo motorino perennemente acceso. «La più grande differenza tra il college e il basket italiano è proprio il QI (il quoziente intellettivo, ndr) - osserva -. Il gioco qui è molto più tattico e preciso. Ogni possesso conta e le squadre ti puniscono a ogni errore commesso. Anche la fisicità è molto diversa dal college. Se vuoi importi devi essere pronto a qualsiasi battaglia fisica. Nel complesso, valutando più aspetti, qui il basket è migliore. I giocatori sono più intelligenti, più esperti e ovviamente molto più forti fisicamente».

Buon difensore sulla palla (la sua prestazione nel match interno con Varese è emblematica) - del resto ha gambe e corpo per mettere pressione - dovrà migliorarsi lontano dalla palla, sul lato debole. Ma questa, del resto, è una problematica comune a tantissimi americani appena usciti dal college. «Più in generale - afferma - comprendiamo tutti che stiamo cercando di costruire e migliorare ogni giorno insieme. Siamo tutti alla ricerca di miglioramenti, ogni giorno vogliamo crescere come squadra. Gli allenatori hanno fatto un ottimo lavoro su di me, dandomi consigli importanti per affrontare il campionato italiano, evidenziando gli aspetti sui quali posso migliorare. Anche i miei compagni hanno svolto un ruolo determinante, incanalandomi nel basket professionistico. Sono stati incredibilmente accoglienti e non hanno paura di condividere le loro esperienze con me. Non c’è nessun tipo di gelosia. Può essere difficile per un rookie arrivare in un Paese diverso, ma avere questi compagni di squadra e uno staff tecnico come quello di Cantù, rende molto più semplice l’ambientamento. Non potrò mai ringraziarli abbastanza per quello che hanno già fatto per me».

Intanto, “Jazz” si presenta agli allenamenti e alle partite casalinghe un’ora prima dell’orario prestabilito. Aspetto che non è passato inosservato... «Mi fa piacere che qualcuno riconosca il mio duro lavoro e la mia dedizione per il gioco. Faccio del mio meglio per lavorare il più duramente possibile e se qualcuno nota la mia abnegazione può solo che far piacere. Perché lo faccio? La risposta più semplice sarebbe “perché amo il gioco”. Mi piace passare il mio tempo a lavorare sul mio mestiere o trovare nuovi modi per essere migliore poi in campo. Secondo me, la mia etica del lavoro è la mia qualità più forte. Sono orgoglioso di dedicare la mia vita al basket. E questa non è una novità per me».

«Ho sempre dovuto lavorare dieci volte più duramente del prossimo per ricevere qualche opportunità - la chiosa -. Mio padre, che è anche il mio allenatore, mi ha insegnato sin da bimbo a essere così tenace e perseverante. So che il tempo non ti aspetta, quindi perché non passare quel tempo a fare ciò che amo? Nessuno ti regala niente, serve darci dentro».

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