«Cantù, sarò Rambo per sempre
E quel coro è da ancora pelle d’oca»

Il giocatore che da queste parti sbarcò nel 1989 nell’allora Vismara allenata da Carlo Recalcati

«Ero alquanto dispiaciuto di dover lasciare Roma per venire a giocare a Cantù. Pur non avendo ancora firmato, erano state giornate frenetiche nella Capitale, tra visite mediche, ricerca della casa e sommaria conoscenza della realtà. Andavo su e giù come un ciuccio. Dopodiché, una notte, mi avvertono che non se ne fa più nulla e che devo trasferirmi in Brianza perché è lì che nel frattempo mi avevano preso. Roma aveva inizialmente acquisito il mio cartellino da Venezia, ma poi nell’ambito dello scambio che portò Riva a Milano, fu Premier a finire a Roma, mentre io e De Piccoli fummo dirottati a Cantù. Sapete che vi dico? Che ringrazio il subbuglio indirettamente provocato dall’Antonello perché mi ha consentito di approdare al posto giusto nel momento giusto. L’ambiente ideale per un professionista, perché ho avuto la possibilità di lavorare al meglio nel contesto di un’ottima struttura societaria e di un eccellente staff tecnico». Andrea Gianolla, da queste parti sbarcò nel 1989 nell’allora Vismara allenata da Carlo Recalcati.

Almeno inizialmente, tuttavia, lo spazio per stare in campo era quella che era. «Vero, il parquet non lo vedevo molto, ma via via ho trovato la mia dimensione. E c’è stato pure un periodo in cui ritengo di aver offerto prestazioni al di sopra di quelle che erano le mie reali possibilità. Madre natura non mi era stata d’aiuto e anche il talento non era una mia prerogativa. Così, tutto ciò che mi sono guadagnato era dovuto pressoché esclusivamente al gran lavoro in palestra al quale mi sono sottoposto. Sì, mi sono sempre fatto il mazzo per riuscire a emergere. A galvanizzarmi sono stati i tifosi. Non solo quelli organizzati, ma tutto il pubblico del Pianella che sapeva darmi la scossa. Aveva il potere di trasmettermi ulteriore forza».

A proposito, sembra ancora di risentirlo quel coro che risuonava così: “Noi abbiam un giocatore che, segna più di Riva e McAdoo: Rambo, Rambo Gianolla...”. «Avevo i brividi quando me lo dedicavano e non nascondo che anche adesso quando lo riascolto mi vien la pelle d’oca. Capita, ad esempio, quando ogni tanto passo dal bar di “Juary” a Cucciago e lì c’è sempre qualcuno che mi accoglie intonando quel ritornello». Allora ciò significa che ha mantenuto il cordone ombelicale con questa “piazza”. «Certo che sì, perché continuo a ritenere Cantù la mia seconda casa, il posto del cuore. Anzi, il luogo in cui ho lasciato un pezzo del mio cuore. E così, quando per lavoro, mi capita di essere a Milano, faccio una capatina per tornare a respirare aria di casa e rivedere qualche vecchio amico o ex compagno di squadra. A proposito di questi ultimi, sento spesso con piacere al telefono Mannion e Bailey. La carriera di giocatore mi ha portato in città e squadre diverse, ma l’esperienza canturina è quella che più mi ha lasciato il segno. Ho giocato anche in altre squadre buone, ma lo spirito era diverso perché soltanto a Cantù il tempo ha permesso di costruire qualcosa d’importante. A livello di spogliatoio e di legami».

La carriera di Gianolla in serie A si è conclusa nel 1997 a Trieste. Dopodiché? «Novara in C1, Mestre in B, un anno e mezzo a Caorle in C1 con relativa promozione e l’altra metà anno a Padova in B. Poi sono sceso nelle cosiddette “minors”, per appendere le scarpe al chiodo a 38 anni».

In seguito ci siamo imbattuti anche in un “Rambo” versione allenatore. «Portavo mia figlia ad allenarsi alla Reyer e mi fermavo sugli spalti. “Non è bello scorgere uno come te a bordo campo, sarebbe preferibile vederti allenare” mi dissero un giorno. Avevo già preso la tessera e così mi son detto “perché no?”. Ho iniziato con Under 14 e U.15 femminile, sono stato prima assistente e poi capo allenatore in C2 con la promozione tra Treviso e Mestre e ho chiuso un paio d’anni fa a Marcon - dove vivo da 21 anni - con gli U.14».

Ha accennato alla figlia cestista, una giocatrice che ha già fatto parte delle Nazionali giovanili. «Carlotta, 23 anni, è reduce dal quadriennio a Kennesaw State University, vicino ad Atlanta, dove si è laureata durante la pandemia e da dove siamo riusciti a riportarla a casa nel corso dei giorni più difficili del coronavirus. La prossima stagione giocherà di nuovo in Italia, precisamente in serie A2 in Toscana. È un’ala forte che sa giocare anche da “3”, ha fisico, è un’atleta e ha caparbietà anche se non ancora tutto il carattere che aveva suo padre quando scendeva in campo».

Lei divenne padre proprio a Cantù, quando sua moglie Aurora diede alla luce all’ospedale di Como la vostra primogenita. «Vero, Alice è nata proprio lì. Ora ha 27 anni, non ha mai praticato la pallacanestro, mentre riusciva bene nel pattinaggio artistico prima di mollare a favore degli studi e poi del lavoro. Ora è nel mondo del commercio». Per certi versi, anche lei è allora sulle orme del babbo. «In effetti sono agente di commercio nel settore della tipografia per tre diverse aziende racchiuse sotto un’unica proprietà. L’ambito d’azione è il Triveneto, ma negli ultimi anni sto sviluppando contatti nel Milanese». Per sempre Rambo? «Sì, sarò Rambo per sempre».

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