Cantù: tifo e storia
Trent’anni di Eagles

Ripercorriamo la vicenda di un gruppo di tifosi da curva che è diventato un modello in tutta Italia, Nato a Belgrado, ha passato gioie e dolori, trasferte e solidarietà. «La festa? Con la pandemia non c’è il clima giusto».

«Gli Eagles? Sono nati… a Belgrado», ricorda Juary. Se proprio va messo un punto d’inizio, bisogna tornare alla finale di Korac del 1989 persa da Cantù contro il Partizan. Pochi mesi dopo, cominciò davvero l’avventura, con un gruppo unico, con uno striscione (allora era verde, ora bianco e blù). E con questo nome, che vinse ai voti la concorrenza di Sturm Und Drang, Onda d’Urto, nel 1990 cominciò una storia – non solo di tifo – che va avanti da trent’anni. Una storia che condensa amicizia, problemi, gioie e sofferenze perché, come amano ricordare gli Eagles «Milano is fashion, Cantù is devotion».

Il gruppo è una ragione di vita: «Tolto famiglia e lavoro, il resto è Eagles. Chi sale su un pullman di mercoledì per starci trenta ore, in giro per l’Europa, ha una passione smisurata», dice Lucio Zanfrini, senatore degli Eagles e figlio di uno dei costruttori del Pianella. Che, tutti i martedì – cascasse il mondo – si ritrovano a due passi dal vecchio e amato Pianella, al “Senso Unico”, il bar di Francesco “Juary” Morabito, riconosciuto come il capo degli Eagles.

Partite, riunioni, feste, solidarietà, ricordo costante con cori e striscioni di tanti amici che non ci sono più: il mondo Eagles è questo e molto altro. Gruppo rumoroso, forse il più rumoroso d’Italia, sesto uomo in campo, soprattutto quando il campo era il Pianella: «Desio non è casa nostra. Mancano il rimbombo, i riti pre e post partita. È il palazzetto delle imprese: un po’ di pressione l’abbiamo messa… Citiamo Flavio Tranquillo: “È contropiede, è Cantù, è Pianella… è pandemonio». Ma, più di tutto, la partecipazione alle trasferte è il passaporto dell’ultras vero: «Noi ne abbiamo fatte alcune leggendarie – ricorda “Juary” -: nel mio cuore ci sono Bilbao in Eurolega, partita vinta con una bomba incredibile di Basile, e Barcellona. Sulla Rambla c’erano solo canturini: un’emozione incredibile».

Trent’anni da festeggiare, pur senza festa. L’happening al “Bersagliere” quest’anno è saltato per molti motivi: «Non potevamo festeggiare con la tragedia del coronavirus ancora fresca. Inoltre, come si può festeggiare con distanziamento sociale? Impossibile». Negli anni, si sono avvicinati anche tanti tifosi del Como. A proposito di amici e nemici, per tutti il derby vero è con Varese: «Una realtà più vicina alla nostra. Poi mettiamo tra i nostri avversari Milano, Caserta, Siena e le due bolognesi. Amici? Siamo gemellati con Montecatini e siamo in ottimi rapporti con Pesaro, Roma e Napoli».

Sullo sfondo, c’è la Pallacanestro Cantù. A cui non è mai stato tolto il sostegno: «Siamo abbastanza adulti per capire che, senza basket, anche noi non esisteremmo. Abbiamo sostenuto tutti i presidenti, con Alessandro Corrado e Marson c’era poi grande sintonia e vicinanza. Ma ci siamo fatti sentire tante volte, anche contro pietre miliari come Allievi o Marzorati. Quando Cantù ha rischiato di sparire, due volte, abbiamo tremato. Ma avremmo tifato Cantù anche in serie D».

Come si fa a stare insieme così tanti anni, senza fratture? «Siamo apolitici e non abbiamo altri interessi. In più, siamo un gruppo unico che ha cementato i rapporti e annullato le divisioni». Negli ultimi anni, gli Eagles si sono anche resi protagonisti di iniziative benefiche, da soli o con i tifosi del Como: «Abbiamo donato migliaia di euro – ricorda Giorgio Meroni – all’associazione “Quelli che con Luca” e siamo impegnati con “Abilitiamo». Non certo per pulirsi la coscienza: «Perché siamo persone di cuore e ultras che non rinnegano la propria indole».

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