Como, cose che capitàno
Storie azzurre della fascia

Sul giornale di oggi le interviste a sette capitàni azzurri. La prima puntata di una serie di pagine speciali dedicate ai tifosi del Como

Quella fascia sul braccio, è un piccolo particolare cromatico ma di colore abbagliante per ogni appassionato, tifoso, compagno di squadra. Il capitàno. Il capitàno del Como. Scorrono in una galleria di immagini, anche in bianco e nero, personaggi che forse solo la retorica, ma forse no, ci descrivono scultorei, petto in fuori, giusti, coraggiosi. Mitici.

Capitàno, lo sanno bene tutti quelli che hanno avuto l’occasione di giocare in una squadra, non è solo la fascia al braccio o la possibilità di dialogare con l’arbitro senza il rischio di un cartellino giallo. E’ molto di più. E’ la capacità di caricarsi la squadra sulle spalle, di parlare ai compagni nello spogliatoio, specie nei momenti difficili. Ecco perché la figura del capitàno alla fine risulta esaltata di più nei momenti duri che in quelli felici.

Capitàni del Como, impressi nella memoria di tutti noi. Per questo abbiamo deciso di iniziare questa carrellata da loro. Da gente come Bruno Ballarini, di cui resta impressa una foto con la fronte sanguinante, come un soldato in battaglia. Uno come Claudio Correnti, ciuffo da riporto sbarazzino sulla pelata, i calzettoni bassi, capitàno della promozione del 1975, condottiero ma rimasto impigliato in una bestemmia: una imprecazione in Como-Juve da cui partorì all’88’ la punizione beffarda del 2-2 bianconero. Da uno come Max Ferrigno, scivolato, lui sì franato addirittura, sulla vicenda drammatica del pugno al rivale Bertolotti proprio forse per il peso psicologico di quella fascia che, si dice, Preziosi volesse torgliergli. Ma amato dalla gente. Era il 2000.

Capitàni di lungo corso e di lunghi silenzi: Giancarlo Centi recordman di presenze con la fascia, ben otto stagioni, che sapeva inchiodare la squadra alle responsabilità con lo sguardo saggio. Oggi resta capitàno, ma del settore giovanile. Capitàni della gente azzurra percepiti come ragazzi della curva: Giacomo Gattuso e Andrea Ardito, facce pulite, eterni ragazzi, figlioli a cui la gente non ha mai fatto mancare una carezza. Tutti e due accomunati da un commiato simile: un giro di campo in lacrime nell’ultima apparizione al Sinigaglia, e poi ancora commossi da ex tornati come allenatori.

Sul giornale di oggi trovate le intervisten a sette capitani storici.

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