Como senza Orsenigo

Il casoLo storico Centro sportivo fa tristezza, ormai abbandonato e chiuso da oltre sei mesi

Malinconia e ricordi, tra i sogni della società di riaverlo e una situazione oggettivamente difficile

Ci sono due realtà che, per i tifosi del Como, hanno sempre rappresentato un totem, un mantra, una luce a prescindere: il settore giovanile e il centro sportivo di Orsenigo. Linfa vitale di ogni cuore azzurro. Anche per chi su quei campi non c’è mai stato una volta, e non ha mai visto una partita di ragazzini. Ma tutti lo sapevano, è la storia che lo dice: se il Como ha scritto in passato pagine importanti, lo doveva a questi due fattori, disegnati, alimentati, mantenuti da dirigenti lungimiranti che si sono succeduti nella storia.

La visita

Ieri, terzo giorno del nuovo anno, abbiamo fatto una visita al vecchio centro, per quanto possibile, come omaggio alla memoria e per fare una malinconica fotografia a ciò che non c’è più. Pensare al Como senza Orsenigo fa male. Ancor più, vedere il parcheggio interno deserto, le tapparelle malinconicamente abbassate, le panchine arrugginite, le sterpaglie che circondano tutto. Soprattutto, il campo centrale, quello in erba naturale, quello su cui si affacciavano i tifosi per vedere la partitella del giovedì, ora di un giallo che sa di sogni bruciati. Spellacchiato come il manto di un vecchio cammello assetato. Un grigiore assoluto che nemmeno il verde brillante e immutato dei due campi in sintetico riescono a illuminare. Desolazione e inno al tempo che fu. Una tomba, forse anche.

Il centro sportivo di Orsenigo era invidiato al Como persino dalle rivali dei tempi della serie A, figurarsi da quelle della C degli ultimi 30 anni. Circolavano, anche, dei rendering ambiziosi di futuribile restyling. Il primo, lo commissionò Amilcare Rivetti, e mostrava un Orsenigo del futuro con parcheggi coperti, palazzine moderne, passanti con cagnolino al guinzaglio. Faceva un po’ ridere, perché erano tempi grami. Poi arrivò la società di Porro e arrivarono i due campi in sintetico, oltre al progetto di una seconda palazzina che sarebbe sorta tra i due campi più grossi. Segnatavela, questa, perché il sogno del nuovo presidente Nicastro, alimentato da Angiuoni, sarebbe quello di riprendere Orsenigo e proseguire su quel progetto. Con una parte aperta al pubblico. Si ma... come? Quando? Intanto il Como fa la spola tra Cantù e Ponte Lambro, lontano dall’avere una casa sua. È un ospite. Gradito quanto volete (e anche ingombrante), ma pur sempre un ospite. Sbirciando dalla rete rivedi il “capelasc” di Mario Beretta, nelle sue visite, sorretto dal bastone, che osservava i suoi giocatori come fossero figli. Vedi Preziosi alternare gag divertenti con tanto di palleggi, a sfuriate roboanti contro tutti, al centro del piazzale, due telefonini in mano. Vedi Centi, Massola o Favini lavorare nel grande laboratorio della gioventù azzurra, con la stessa espressione uguale negli anni, consapevole e indagatrice. Vedi centinaia e centinaia di ragazzi, ricchi professionisti della serie A oppure umili pedatori della serie C; vecchie stelle di rimando o probabili-possibili fenomeni; vecchi marpioni sovrappeso o leoni indomiti; idoli della folla o deludenti contestati e criticati. Tutti con le stesse mosse: parcheggiavano la macchina, scendevano a volte con il borsone sulle spalle, salutavano, chi con sufficienza chi con allegria, si infilavano nello stanzone e ne riuscivano trotterellando verso il campo con il rumore dei tacchetti sull’asfalto. Chissà se risentiremo mai quel rumore.Qui, a Orsenigo. Dove nascevano i talenti.

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