Fumagalli: «Cantù è famiglia
Ma ora canto Romagna mia»

Siamo andati a trovare l’ex play biancoblù, che vive a Forlì. Ho giocato fino all'anno scorso, 38 campionati di fila»

Il 13 gennaio 1983, la Ford Cantù nell’ambito del girone di semifinale di Coppa Campioni vince a Madrid per 79-77, aprendosi la strada verso l’indimenticabile finale di Grenoble con Milano che le avrebbe consentito di alzare al cielo il più prestigioso torneo europeo per il secondo anno consecutivo. Tra i protagonisti di quel successo in terra di Spagna anche un ragazzino di 16 anni e mezzo, canturino doc quale Corrado Fumagalli. «Era il Real di Dalipacig, Delibasic, Brabender, Rullan, Martin, Iturriaga, Martin e Romay - ricorda quello che allora per tutti era semplicemente “Corradino” -, come dire uno squadrone. Succede che al 33’ esce per 5 falli Marzorati e un paio di minuti dopo la stessa sorte tocca a Cattini. Fuori entrambi i playmaker, coach Primo non ha altra scelta, decide che è venuto il mio turno e mi butta dentro. Il palazzo è una bolgia, ma dico la verità, non ho sofferto l’emozione, ho cercato di restare concentrato e “freddo” e così sono riuscito a cavarmela. Non ho fatto danni e siamo riusciti a spuntarla, anche perché il “bomber” (Riva, ndr) ne segnò 27 o 29... Rammento la gioia e i complimenti dei miei compagni. Credo di essere ancora ora uno tra i più giovani, se non addirittura il più giovane in assoluto, ad aver debuttato in Coppa Campioni/Eurolega. Una sorta di record al quale mi sono affezionato e che mi tengo stretto. Di lì a breve sarebbe accaduto altrettanto in campionato, nel senso che sarei entrato in campo anche nella serie dei quarti di finale playoff con la Virtus Bologna».

Fumagalli era un portento nelle giovanili biancoblù. «Sette titoli italiani di categoria vinti, ma in particolare ricordo quello Cadetti a Montecatini perché fui il miglior giocatore e il miglior realizzatore delle finali. E quell’anno venni incoronato come il miglior prospetto in ambito nazionale della classe 1966».

Fece parte della Cantù dei “grandi” per cinque stagioni, prima di andarsene appena 21enne. «Nel mio ruolo avevo davanti un totem quali Marzorati e dunque i miei spazi sarebbero sempre stati comprensibilmente ridotti. Così preferii cercare fortuna altrove. Ma di quelle annate “a casa” conservo un ricordo indelebile e non solo perché lì avevo fatto l’intera trafila. Come scordarsi il Pianella e il suo pubblico?».

A chi non l’ha mai vista in azione, come si descriverebbe da giocatore? «Un play con visione del gioco, ma anche una guardia tiratrice. Per dire, ho chiuso l’attività agonistica tirando con il 40% da 3, il 60% da 2 e l'80% dalla lunetta. La mia principale caratteristica era senza dubbio la rapidità. Andavo velocissimo e non per caso fui soprannominato “Speedy Gonzales”. Ho disputato un Europeo giovanile in Bulgaria giocando anche contro un certo Drazen Petrovic, ma la Nazionale maggiore l’ho vista soltanto con il binocolo. Del resto, in quegli anni c’era troppa concorrenza nel ruolo».

Quali i flash, post brianzoli della sua carriera? «Gli anni alla Fortitudo, a Basket City, e le annate a Forlì, città in cui mi sarei stabilito nel 1997 e dove vivo tuttora. In Romagna sto un gran bene e ho il mare di Milano Marittima a due passi. Ho continuato a giocare a basket sino all’anno scorso, collezionando 38 campionati di fila di tutti i generi. Nelle mie cinque stagioni a Forlì sono diventato l’idolo del PalaFiera (in particolare dopo i 36 punti con 7/9 da 2, 6/8 da 3 e 7 assist contro Imola, ndr), ho avuto l’onore e la fortuna di giocare insieme a Bob McAdoo e recentemente sono stato inserito nel quintetto ideale di sempre votato dai tifosi di quel club unitamente a Niccolai, Bonamico, Griffin e, ovviamente, lo stesso McAdoo».

Da quelle parti (così come in seguito a Siena) è stato allenato anche dall’attuale coach di Cantù, Cesare Pancotto. «Ho avuto modo di conoscere e apprezzare un tecnico molto preparato, capace di tirare fuori il meglio, se non proprio tutto, dal “materiale” che si ritrova tra le mani. L’ho rivisto con piacere quest’anno in Brianza, perché a Desio qualche volta faccio un salto, soprattutto quando torno a Cantù a trovare i miei. L’ultima volta è accaduto nel match con Brescia, quando mi sono recato per salutare un caro amico, Enzino Esposito».

E ora che fa a Forlì, Corrado Fumagalli? «Vivo con mio figlio Nicolò che ha 17 anni, è alto 1.92 ma non ha seguito le orme del padre. Svolgo qualche lavoretto qua e là e collaboro con dei promotori nel campo immobiliare. Fisicamente sono ancora integro perché oltre ad aver giocato sino all’altroieri ho avuto soltanto un paio di brutti infortuni in carriera. L’uno ai legamenti della caviglia quando avevo 16 anni e l’altro nel ’95-96 a Siena con la rottura del crociato. Tutto sommato, anche alla luce dei 17 campionati di serie A, poteva andare decisamente peggio...».

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