«Io, innamorato di Cantù
Con la speranza dei playoff»

Intervista con Massimo Marianella , giornalista e “voce” di Sky Sport «È necessario tornare a giocare “a casa”, perché a Desio cambia tutto»

«Per me questa è un’emozione speciale e sono felice come una bambino». Romano, ma tifoso della Pallacanestro Cantù fin da giovanissimo, Massimo Marianella ancora non si spiega bene come sia nato questo amore stravagante per una squadra lontana 600 chilometri da casa sua. Il notissimo giornalista di Sky Sport, brillante presentatore della serata di presentazione ufficiale della sua squadra del cuore al Lido di Villa Olmo, a margine dell’evento ha anche raccontato le sue impressioni sulla squadra.

Massimo, che ne pensa di questa nuova Cantù?

Abbiamo visto ancora poco. Se mi devo basare sulle due sfide contro Milano, così così, ma contro Varese ho apprezzato una squadra divertente.

Che campionato sarà?

Pieno di incognite, per tutti dopo il lockdown. Ma per quanto riguarda noi, spero che la squadra trovi come in passato la magìa che l’ha sempre contraddistinta. Non è detto però che arrivi subito: ci vorrà pazienza.

Qual è l’obiettivo che individui per Cantù?

Da appassionato sarei felice per un campionato che si concluda con una salvezza comoda, ma ovviamente nel cuore ho sempre la speranza che la stagione non sia così tranquilla, ovviamente in senso positivo: vorrebbe dire lottare e palpitare per un posto nei playoff.

Che campionato sarà dopo tanti mesi senza partite e con una crisi economica?

A parte Milano, le altre si sono dovute un po’ adattare alla situazione. Il nostro Daniele Della Fiori, in passato, ha sempre saputo pescare bene, quest’anno poi ha saputo dare spessore alla squadra con innesti di esperienza. E sapete qual è la cosa bella, di Cantù?

Prego…

Che qua gli americani arrivano senza sapere nulla del campionato, probabilmente nemmeno dell’Italia, e c’è sempre qualcuno che sa trasmettere anche a loro il concetto di “canturinità”. Chi altro in Italia può permettersi questo lusso? Credo nessuno.

È veramente un fattore così importante?

Sì, e non solo per i tifosi. La “canturinità” è un cappotto comodo che vien buono anche quando le cose non vanno bene per aiutarsi a galleggiare: si mettono in mostra i 17 trofei e le cose già migliorano. Speriamo però di non doverlo tirare fuori mai, questo cappotto.

E Cantù come fa ad avere un tifoso come Marianella? Com’è nato questo amore?

Non c’è un motivo particolare, come tutti gli amori è nato spontaneamente. Da bambino, a Roma, vedevo in tv la grande Cantù degli anni ’70 e me ne sono innamorato. Poi, come tutti gli amori, va coltivato.

La “tua” Cantù?

Quella di Lienhard, di Riva, dell’indimenticato Innocentin. Ma a dirla tutta a me Cantù è sempre piaciuta, in tutte le sue fasi e vicissitudini. Ho amato tantissimo quella dei sei americani, che giocava un gran basket. Il giocatore che mi ha emozionato più di tutti? Jim Brewer.

Sul lavoro come hai conciliato questa tua passione?

Vi svelo un aneddoto. Quando arrivai a Mediaset, chiesi immediatamente di mandarmi a seguire Cantù, ricordo che fu una vittoria contro la Virtus Bologna. A Jeff Turner, che ho rivisto per la Nba, l’ho detto: “Spiega a tutti i tuoi giocatori che cos’è Cantù”».

Cantù gioca a Desio da anni, cosa cambia?

Non sarò diplomatico: cambia tutto. Per me è pure più comodo andare a Desio, ma per una partita al Pianella sono sempre fuggito dalle mie telecronache appena finite. Per andare Desio, invece, l’ho fatto meno volte.

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