«Kobe, quel batuffolino nero
che tirava al Pianella con papà»

I ricordi canturini del grande Bryant scomparso domenica

Aveva sei anni, il piccolo Kobe, quando papà Joe dopo aver lasciato la Nba sbarcò in Italia per giocare a Rieti in A2. Curiosità: giunse insieme a Dan Gay, uno che da queste parti avremmo imparato a conoscere molto bene nelle stagioni a venire…

Fu quello il primo di cinque campionati consecutivi di babbo Bryant in A2 prima dell’approdo a Reggio Emilia al piano superiore. E fu proprio con la maglia delle Cantine Riunite che il 17 dicembre 1989 si presentò a Cantù. Più precisamente al palazzetto Pianella di Cucciago per affrontare la Vismara allenata da Carlo Recalcati. Accompagnato, Joe Bryant, dall’avvenente moglie Pamela Cox e da quel ragazzino poco più che undicenne che rispondeva, appunto, al nome di Kobe. «Me lo ricordo quel batuffolino nero che finita la partita (vinta da Cantù 100-91, ndr) e con i giocatori rientrati negli spogliatoi si lanciò in campo con un pallone più grande di lui in mano, provando più volte a tirare nel tentativo di far canestro - racconta Pietro Terraneo, a quel tempo “voce” di Radio Studio Vivo, l’emittente che si occupava delle radiocronache degli incontri della squadra brianzola -. Mi restò in mente quell’episodio perché a quei tempi gli stranieri erano solo due per squadra e non capitava quasi mai di vedere un bambino di colore nel post gara. Ho ancora nitida anche l’immagine di papà Joe che tornato sul parquet dopo la doccia prende in braccio il figlio, sollevandolo verso il canestro così da rendergli più semplice il tentativo di tiro».

Un Kobe decisamente più grandicello incrociò invece un’altra grande realtà sportiva lariana del tempo quale la Comense. Era il settembre 1997 e nell’insolita location del Castello Sforzesco di Milano andava in scena la finale di Supercoppa italiana tra le nerostellate, appunto, e Parma. Ad alzare la prima palla a due della finale, proprio lui, che intanto nel novembre precedente aveva esordito nella Nba diventando il debuttante più giovane nella storia di quella lega (18 anni e 72 giorni). «Era già qualcuno ma non ancora così famoso come sarebbe diventato di lì a breve - rammenta quel giorno con Kobe la capitana di quella Comense, Viviana Ballabio -. Certo che ripensandoci oggi...».

Kobe, inoltre, ha avuto un successivo contatto canturino per “interposta persona”. Quel tramite è stato infatti Metta World Peace, inizialmente soltanto suo compagno ai Lakers per poi divenirne amico fraterno (tra i due solo un anno di differenza). E l’ex giocatore canturino è stato subito chiamato in causa dalla Cnn per un ricordo in diretta. «Da oggi è davvero difficile andare avanti» e « pensavo avessimo più tempo...», il senso di alcuni tweet di uno che poi non si è dato pace per tutta la notte. Infine, nel 2016 due giocatori comaschi del Pgc, Luca Cesana e Curtis Nwohuocha, hanno avuto l’onore di stargli accanto a Milano in occasione di un evento promozionale (“The Mamba Mentality”).

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