«La grande Comense Anni ’50
veniva da noi a prendere il té»

A settant’anni dal primo storico scudetto femminile, i ricordi di Feliziani

Grazie alle due pagine su La Provincia, commemorative del primo scudetto vinto dalla Comense nel 1950, due giocatrici dell’epoca si sono ritrovate (per telefono) dopo più o meno 60 anni. «Posso chiedere il numero di Miriam Giordano?» dice Linda Feliziani.

Socia di lunga data della Como Nuoto (sorella di Cochi e moglie di Uberto Bazzi), Feliziani ha giocato nella Comense «se non ricordo male tra il 1959 e il 1966, tranne un anno nel 1963 quando sono andata in Inghilterra». Era solo una bambina perciò quando la Comense della mitica Liliana Ronchetti, della capitana Anna Branzoni, e appunto della Giordano (oggi 94enne), vinceva gli epici quattro tricolori dei primi anni Cinquanta. Il caso vuole che Feliziani abitasse nella casa ancora oggi dipinta di verde che dà sul cortile della palestra Negretti.

«Avevamo le finestre proprio davanti alla palestra – ricorda - e mio papà andava a vedere tutte le partite, al contrario di mia madre che non si è mai interessata. Casa nostra è stata sempre aperta per gli amici, e tra la squadra e i miei genitori si era instaurato un bel rapporto. Cosicché succedeva che durante l’intervallo delle partite venivano da noi a bere il tè… Proprio così. Me lo raccontava mia mamma. Siccome eravamo al piano rialzato, le giocatrici arrivavano scavalcando la finestra, come facevo anch’io quando uscivo... Ci chiudevamo tutti in cucina e Rico (l’allenatore Enrico Garbosi, nda) urlava come un pazzo. Penso che sia successo solo i primi anni. Fatto sta - aggiunge - che io ero sempre in palestra: era diventata il mio cortile. Andavo a vedere tutti gli allenamenti ed ero la mascotte della squadra. Avevo 7 anni e loro ne avevano una quindicina più di me».

Nonostante la differenza d’età, nasceranno amicizie profonde che Feliziani tiene vive nella memoria. «Conoscevo tutte le giocatrici, ed erano diventate i miei idoli. Ricordo le tante vittorie e la palestra stipata di gente attorno al campo. E il grido “misultin sec”, c’era già. Poi ci siamo perse di vista. Avevamo età troppo diverse e non avevamo niente in comune. Liliana Ronchetti però veniva ancora a trovare mia mamma. Un giorno, quand’ero un po’ più grande, c’ero anch’io e diventammo amiche. Lei era abbastanza sola: ha avuto una vita amorosa molto rocambolesca, è stata l’amante di un uomo sposato. Stava quindi spesso da noi, poi è andata ad abitare a Casnate, nella casa che è passata alla sorella Franca e che ha ospitato Aldo Corno. Posso dire che si è goduta la vita, ha avuto tanto successo, ma è rimasta con un pugno di mosche in mano».

La “gazzella” (come era soprannominata Liliana) diventerà una giocatrice simbolo della pallacanestro italiana: morirà nel 1974 a soli 46 anni. «Negli ultimi anni era stata lei a volermi come riserva alla RiRi Mendrisio, credo in realtà per farle compagnia durante il viaggio. Ormai era a fine carriera, ma era sempre una stella: aveva un corpo atletico e snello ed era ancora una grande giocatrice. Poi iniziò la malattia, un tumore all’utero, e lo sottovalutò pur di continuare a giocare. Le chiesi di fare la madrina al battesimo di mia figlia Chiara. Mi ricordo che ero al settimo mese quando lei è mancata. È sepolta al cimitero Monumentale di Como e quando vado alla tomba di mio fratello passo volentieri a mettere due fiori anche a lei. Ci sono anche Anna Ceruti (altra giocatrice di quella Comense, nda) e la Branzoni alla quale ero molto affezionata».

E con la Giordano cosa vi siete dette ? «Ha una memoria di ferro a dispetto dell’età e si è ricordata che mi chiamavano strega per i miei capelli. E io mi arrabbiavo. L’ultima volta che l’ho vista ero ragazza. Mi ha fatto piacere che si sia ricordata di me. Le ho detto che adesso le telefonerò una volta alla settimana per raccontarci i nostri ricordi. Perché ogni giorno che

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