La salvezza del basket?
Giocare all’aperto

Gianni Corsolini si ricorda degli impianti open negli Anni Cinquanta, un’idea che potrebbe tornare di moda

ll governo è d’accordo sul programma presentato dai signori del calcio e quindi il pallone più amato dagli italiani ricomincerà nella seconda metà di giugno. D’altro canto lo deve fare per forza, altrimenti fallisce. E l’Italia, superata l’emergenza nella fase più critica, sempre che si raggiunga una sperabile regolarità, si riprenderà o fallirà?

Questo è il problema. Se il calcio (ipotesi) giocherà a porte chiuse, con la presenza degli addetti alla vigilanza, al soccorso e alla moviola, e l’équipe degli arbitri, verrà fuori un ambiente da fantascienza. A meno che non entrino bambole gonfiabili come spettatori. Cosi lo sponsor della tv otterrà parzialmente un ritorno dal contratto regolarmente stipulato.

E il basket cosa farà? Potrà giocare in impianti già piccoli, oltre tutto ridotti per la distanza di sicurezza? Tutti gli sport, da quelli di squadra a quelli individuali, dovranno forzatamente aspettare l’esito dell’epidemia, che purtroppo consiglia o impone prudenza dopo aver portato via anche tanti sportivi e gente del basket come l’amato medico e allenatore Alberto Pollini.

Lo sport non è più un mezzo per il benessere personale, per una cura giusta del fisico, ma solo per esaltare l’autostima, la visibilità, e le conseguenze mediatiche del mondo attuale. In questo scenario si corre la Formula 1 a mezzanotte negli Emirati Arabi, si organizzano le gare ciclistiche a mezzogiorno nel deserto con 40 gradi all’ombra e addirittura si costruiscono delle montagne di ghiaccio per consentire la discesa dello sci. Questi sono esempi, ma si potrebbe proseguire.

Tornando alla nostra pallacanestro, dove potremmo giocare? Forse all’aperto con la pioggia? Non pensate che sia una battuta perché in serie A negli anni ’50 si giocava all’aperto alle 11 di mattina in un campionato a 12 squadre. Nonostante il fondo fosse in cemento, magari con qualche buca, e i canestri in legno, sono nati dei giocatori idonei, non solo per la serie maggiore ma addirittura da quintetti della Nazionale. È l’esempio di Pesaro con Riminucci, Bertini e Minelli, di Livorno con Villetti e i due Cosmelli, di Venezia con Vianello oppure del nostro Lino Cappelletti a Cantù.

I club di allora avevano una visione del futuro e tutti si organizzavano per dei vivai seri che hanno prodotto i giocatori menzionati e tanti altri. Personalmente quindi spero che le condizioni attuali consentano di riprendere un’attività rispettosa dei nostri ragazzi. Purché ci sia sempre una lettura onesta della situazione e il ricorso al buon senso, la capacità di orientare le scelte che viene richiesta a tutte le forze politiche, sociali, economiche di oggi.

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