L’Italia delle restrizioni?
I tifosi sono già abituati

Gente che non può andare a vedere una partita di calcio solo perché risiede in Lombardia o in Piemonte e ha scelto la partita sbagliata

C’è una popolazione italiana (italiana? Mondiale) che sta facendo i conti con le limitazioni alla sua libertà. Divieti di uscire di casa, di trasmigrare da una regione all’altra, da un comune all’altro, controlli all’ingresso delle attività, non perquisizioni ma misura della temperatura corporea, ma comunque limitante. Tutti sappiamo perché lo facciamo, e chi contesta ha torto. Tutti d’accordo. Ma certo capiamo il risvolto psicologico quantomeno strano, specie nelle civiltà democratiche occidentali sempre a caccia di nuovi diritti, di chi si sente limitato nelle sue libertà costituzionali, individuali, conquistate (non da noi ma da chi ci ha preceduto) a suon di battaglie di principio. Eppure c’è una categoria, nella società moderna, che le limitazioni le conosce bene e da tempo. La categoria dei tifosi di calcio (e di basket). Non ci riferiamo a quelli colpevoli di qualcosa e colpiti da Daspo, ma di quelli innocenti e impossibilitati ad andare a vedere una manifestazione sportiva in base ad assurde limitazioni spesso territoriali. Gente che non può andare a vedere una partita di calcio solo perché risiede in Lombardia o in Piemonte e ha scelto la partita sbagliata; costretta a code, a lungaggini assurde; a sequestri di beni propri (rossetti, batterie carica telefonino, accendini) o alla sottoscrizione di documenti (tessera del tifoso) simile all’autocertificazione tanto di moda oggi. Per questo oggi sul web, i tifosi sorridono e dicono: limitazioni? Ah beh, noi ci siamo già abituati...

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