Riecco Ai lov dis gheim
La versione di Gianni

Scrive Corsolini. Nuova puntata della rubrica più longeva nella storia de La Provincia

Stavolta parlo del mio ramo del lago di Como. E con buona pace del Manzoni, il mio ramo è Como. Prima ancora di arrivare a Cantù, era proprio Como la meta delle mie trasferte. Venivo a vedere gli allenamenti di Enrico Garbosi che allenava la Comense facendola giocare a basket, non pallacanestro, come nemmeno tante squadre maschili erano capaci di fare.

Oppure andavo a Brunate per i raduni della nazionale sempre femminile affidata a Giancarlo Primo. Erano anni in cui Rubini e Bogoncelli immaginavano di far crescere in città una succursale della Ginnastica Triestina e così Como era una capitale del basket. Gradita a tutti perché il lago aggiungeva un fascino tutto suo.

Quando poi mi sono effettivamente trasferito qui anche mia moglie si è immediatamente innamorata del lago e ancora oggi, passati anni, da tesserata e ambasciatrice Fai non perde occasione per invitare a una visita ogni persona con cui parla, suggerendo una fermata per la villa del Balbianello.

Ne parlo perché l’ordinanza del sindaco Landriscina che vieta anche ai volontari di portare bevande calde ai senza tetto ha fatto tornare Como sulle prime pagine dei giornali. Non discuto il provvedimento, mi permetto solo di criticare la gestione della comunicazione del provvedimento che ha fatto e sta facendo passare Como per quello che non è: una città inospitale. Una città inospitale non coccolerebbe residenti e turisti col videomapping come in questi giorni.

Invece la Como confusa di questi giorni se la prende con i senza tetto che rovinano l’immagine, come se usciti dalla Trump Tower, una torre di oro e di potere sulla Fifth Avenue a New York, non si incontrassero dei barboni. Eh no, cari miei. Hanno fatto molti più danni all’immagine di Como le paratie che hanno nascosto il lago alla vista di tutti. Anni fa potevamo parlare di basket, immaginare e disegnare la crescita del movimento, anche perché spirati dalla grande bellezza che ci veniva regalata durante ogni passeggiata. Allora, come oggi, era semmai evidente una cosa: l’importante è saper comunicare, spiegarsi bene e non limitarsi a chiedere se la gente ha capito.

Prendiamo i parcheggi: se non è comunicata la loro ubicazione, se non sono suggerite soluzioni accessibili che permettono di spendere meno tempo in coda in auto, per avere più tempo da spendere a piedi a Como, e per Como, di chi è a colpa ?

Lasciamo il lago e passiamo a Cantù. È rimasta l’abitudine di criticare la società e si finisce per colpire una squadra che invece gioca un bel basket, è una delle migliori del campionato.

Forzatura mia ? No, evidenza dei risultati: sconfitta di un solo punto con Brescia che stava per passare anche al Forum, sconfitta ai supplementari con Venezia, per il resto un cammino che tiene aperta la strada verso Firenze.

E comunque, criticare la società significa oggi, in un basket in cui l’incasso conta veramente poco, perché è molto più importante il consenso che si muove attorno a una squadra, significa farle mancare i piccoli sponsor che, insieme, costituiscono una delle principali fonti di ricavi. Puntare il bersaglio sulla società è un conto, ma non si può per questo tacere un’altra evidenza. Il campionato di quest’anno è un bel campionato, c’è un equilibrio positivo, perché porta verso l’alto.

E il campionato lo gioca una squadra che pure a Desio, con giocatori che magari nemmeno conoscono la storia di Cantucky, continua a interpretare la storia di una città che si è proiettata nel mondo con uno stile di gioco che riassume le caratteristiche dei suoi artigiani capaci, attenti, svelti, antesignani degli start upper che vanno tanto di moda oggi.

Cantù è un ramo importante di quel lago che è il basket italiano in un momento particolare: abituati anche a qualche esondazione, ci siamo inventati delle paratie. Adesso non riusciamo più a liberarcene, succede spesso che l’acqua scenda sotto il livello di guardia, ma bisogna saper valutare ogni situazione in modo corretto. Bisogna saper comunicare insomma, senza aver paura degli artisti di strada che incomprensibilmente qualcuno vive come un disturbo a Como e che sotto canestro sono quei giocatori, come tanti della Pallacanestro Cantù, che si inventano risorse anche dove mancano talenti assoluti e grandi capacità fisiche.

Chris Burns, per dire, è quasi più bravo come comunicatore che come giocatore. Dicendo Resto a Cantù, si è meritato di essere il poster boy 2018 della nostra squadra.

Gianni Corsolini

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