Ungari sul Como
«Bella squadra»

oggi ha 46 anni: era un difensore centrale e ha giocato in due fasi a Como (prima con Scanziani, poi con De Vecchi), vincendo una Coppa Italia di C

Luca Ungari oggi ha 46 anni: era un difensore centrale e ha giocato in due fasi a Como (prima con Scanziani, poi con De Vecchi), vincendo una Coppa Italia di C. Dopo la fine della carriera (nove anni a Modena e uno e mezzo al Torino) si è fermato nella nostra città, dove adesso è titolare della Patio, nota società in campo immobiliare. Ma il richiamo del calcio era troppo forte, e così ha accettato di essere, da quest’anno, l’inviato della Aic nelle partite interne del Como. «Nulla di invasivo: non mi piace andare a rompere le scatole prima di una partita negli spogliatoi. Ma se si tratta di fare rappresentanza prima del match, è una bella occasione per risentire l’odore del prato...». Fatto sta che Luca sabato era presente a Como-Ascoli. E molte altre ne vedrà.

Che impressione le ha fatto il Como?

Un’ottima impressione. Ho visto anche una parte di Lecce-Como. Ho visto una squadra che ha personalità, che fa gioco, che sa come rendersi pericolosa. Per me può battersi anche per qualcosa di più della salvezza, pur restando umile. Perché la B è tosta, e questa forse la più tosta di tutte..

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Lei era un difensore.

Che dice del reparto arretrato?

Mi è piaciuto. Mi ha colpito Varnier , e infatti mi aveva sorpreso il fatto fosse uscito. Poi mi hanno spiegato che arrivava da una inattività e non aveva i 90’ nelle gambe. Ma i due centrali si muovono bene. Ioannou forse deve ancora un po’ crescere e Vignali ha fatto bene, anche se è cascato nel tranello.

Quale?

Vi racconto una cosa: a La Spezia, con la maglia del Como, feci un intervento in area, ma non beccai l’attaccante, che però cadde per terra nonostante fosse a 30 cm da me. Rigore! L’allenatore Marini me ne disse di tutti i colori. Mi disse che a volte meglio coprire la conclusione che intervenire, perché non si sa mai. Poi, certo, sono cose che devi decidere in una frazione di secondo. Peccato quel rigore.

Altro?

Mi sono piaciuti molto Chajia, Bellemo e pure H’Maidat.

E l’attacco?

Un po’ meno. Ma non per la qualità dei giocatori, che è molto alta, ma solo perché è evidente che non hanno ancora gli automatismi. Cerri chiedeva palla spesso a Vignali, ma il movimento non era ancora efficace. Però arriveranno, perché Cerri e La Gumina sono due ottime punte. Devono solo conoscersi e oliare un po’ i movimenti e l’intesa.

Un Como di un calcio verticale, semplice.

Gattuso si vede che non è un teorico del tiki taka, nell’ossessiva circolazione della palla in orizzontale. E se lo fa, lo fa già oltre la metà campo. Sono contento per Gattuso, uno con cui ho sempre avuto un feeling umano particolare, così a pelle, perché è una persona molto pacata, solare.

Il fatto che non abbia esperienza è un freno?

Non credo. Abbiamo visto anche debuttanti fare bene. Lui ha già dimostrato di avere qualità nella gestione che è la fase più importante e delicata.

Adesso arriva il Frosinone.

Faccio fatica, e non solo io, a fare una graduatoria di forza. Guardate l’Ascoli: ha fatto tre vittorie di fila, è a punteggio pieno, ma qui non mi ha per nulla impressionato. Ne sapremo qualcosa di più tra qualche giornata. Il Como ha la qualità per provarci sempre, e così farà anche con il Frosinone, ne sono sicuro.

Lei è il genero di un grande tifoso come l’ex generale dei Carabineri Vincenzo Cardiello. Chissà che discussioni...

Mi fidanzai con sua figlia che giocavo nel Como, e si parlava sempre degli azzurri. Ora segue un po’ più da lontano, ma la passione è la stessa.

Cosa ricorda della sua esperienza a Como?

L’anno della Coppa Italia di C fu il più bello. Sul pullman Marini, dopo la sconfitta 2-0 dell’andata, ci disse: oeh ragazzi, guardate che molti di voi non avranno un’altra chance di alzare un trofeo. Vincemmo 4-0.

Lei per Marini era il “mutante”.

Sì perché avevo le lenti a contatto per giocare, ma fuori dal campo usavo gli occhiali e la prima sera in ritiro non mi riconobbe quasi: “E tu chi sei?”.

Marini era il suo mentore.

Mi portò anche a Cremona. Un personaggio speciale. Tatticamente non era uno che studiava molto, ma sapeva motivare i suoi in maniera eccezionale. Aveva la passione per Ligabue, ogni tanto, dopo allenamento, chiamava i giocatori che magari aveva visto un po’ giù durante la seduta, metteva una canzone del Liga a tutto volume, poi chiamava il giocatore e diceva “Senti questa...”.

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