Zorzolo: «A2 dura
Ma Cantù ha le basi»

«Tecnicamente, A e A2 sono due realtà diverse: in A2 occorre strutturare. La regola aurea è un avere un bel mix di italiani e stranieri»

«Nessuno pensi che sia facile tornare in serie A. Ma a Cantù si stanno gettando le basi per un buon lavoro». È un po’ fuori dal giro Alessandro “Zorro” Zorzolo, ma nemmeno troppo, visto che dallo studio medico-sportivo che gestisce il via vai di persone legate alla Pallacanestro Cantù è continuo.

Lui, nell’ultima promozione nella stagione 1995/96, c’era. E ne è stato uno dei protagonisti. E non c’erano seconde linee in quella squadra («che avrebbe detto la sua anche in serie A», ricorda l’ex giocatore): lui, Eros Buratti, Lupo Rossini, Rambo Gianolla, Franco Binotto e sua maestà Thurl Bailey. Quanti conoscitori di Cantù, quanti che avrebbero dato l’anima per risalire. Fu la stagione dei record orchestrata da Dado Lombardi in panchina.

«Cantù arrivava dalla delusione della mancata promozione l’anno precedente – ricorda Zorzolo - sfumata in finale contro quell’Arese guidata da Fabrizio Frates, decisa dalla tripla da metà campo di Capone. Poi successe che a un buon gruppo fu “regalato” un campione come Bailey: con uno così, è più facile. E poi la grande intuizione di mettere Lombardi in panchina».

Le differenze tra oggi e allora sono infinite: «Tecnicamente, A e A2 sono due realtà diverse: in A2 occorre strutturare. La regola aurea è un avere un bel mix di italiani e stranieri, che ora però Cantù non ha e non certo per colpe sue, ma perché le dinamiche del basket e le stesse regole sono cambiate. Allora, un club aveva la proprietà del cartellino del giocatore, oggi i contratti sono mordi e fuggi e se non si può programmare, si rischia di dover cambiare squadra ogni anno. Questa potrebbe essere un’insidia».

La società però sembra voler disputare un torneo da assoluta protagonista, se sarà A2, ripartendo da un budget più che adeguato alle ambizioni: «Questo sarebbe un ottimo punto di partenza. Gli italiani sono fondamentali, credo ne servano almeno quattro di valore. Più due americani di spessore. Noi avevamo Bailey: metteva timore a chi tentava di entrare in area… E poi credo che servano figure di riferimento nello spogliatoio, qualcuno che sappia far gruppo quando serve. Uno alla Dan Gay».

© RIPRODUZIONE RISERVATA