Ue; Quinto compleanno amaro per grande allargamento a est
Bruxelles, 1 mag. (Apcom-Nuova Europa) - Quinto anniversario
senza entusiasmi per la 'grande riunificazione' del Vecchio
continente, uno dei principali risultati della Commissione
europea guidata dal 1999 al 2004 da Romano Prodi. Il primo maggio
2004 venivano ammessi nell'Ue quasi tutti i Paesi ex satelliti
dell'Urss: Polonia, Repubblica ceca, Ungheria, Slovacchia,
Estonia, Lettonia Lituania, Slovenia, oltre a Cipro e Malta.
Dieci nuovi posti alla tavola europea - da 15 a 25 - aggiunti non
senza timori di 'invasioni dall'Est' e polemiche sulla
possibilità di far funzionare la nuova famiglia senza corti
circuiti 'da raddoppio'. Ma se gran parte delle paure, cinque
anni dopo, possono essere dichiarate infondate, la 'stanchezza da
allargamento' oggi è evidente.
A celebrare il compleanno ci penserà domani il commissario Ue
all'Allargamento Olli Rehn, invitato a Praga insieme al collega
alla Cultura Jan Figel, per una conferenza internazionale che
ricorda anche il ventesimo anniversario della caduta del Muro di
Berlino. Un appuntamento in tono minore, presieduto da Alexander
Vondra e Karel Schwarzenberg, vicepremier e ministro degli Esteri
uscenti del governo dimissionario ceco. Mancano all'appello i
capi di Stato, sia della 'Vecchia', sia della 'Nuova' Europa, a
testimonianza che la voglia di festeggiare è poca.
Rehn fa buon viso a cattivo gioco, invitando a tenere aperta la
porta Ue per i prossimi aspiranti Ue: la Turchia, ma soprattutto
i Balcani occidentali. "La prospettiva di adesione Ue è stata
un'ancora di stabilità e promotrice di democrazia in Europa. Ha
favorito la democratizzazione in momenti politici difficili ed ha
portato vantaggi economici sia ai vecchi che ai nuovi Stati
membri. In tempi di crisi è importante mantenere questa
prospettiva storica", ricorda in un comunicato. Anche i ministri
Ecofin, in una bozza di conclusioni del 5 maggio ottenuta da
Apcom, mettono l'accento sui vantaggi economici derivanti dal
'big bang' verso l'Est, ma al di là delle dichiarazioni di
principio gli ostacoli politici ed economici al prosieguo del
'progetto allargamento' sono molti.
L'Unione europea non è ancora riuscita a completare il riassetto
dei propri meccanismi istituzionali, che secondo molti
osservatori avrebbe dovuto precedere l'espansione a est. Dopo il
fallimento della Costituzione europea, affondata dai referendum
in Francia e Olanda nel 2005, il Trattato di Lisbona che dovrebbe
riprenderne gli elementi essenziali è ancora in panne, sospeso
tra il no irlandese e l'euroscetticismo ai vertici praghesi. In
più la crisi economica e finanziaria ha fatto passare la voglia
di ammettere nuovi candidati da sostenere generosamente con i
fondi di coesione e pre-adesione, specie nel momento in cui si
avvicinano le elezioni europee. A offuscare l'immagine
dell'allargamento ha contribuito anche l'ingresso della Bulgaria
e della Romania, avvenuto nel 2007 nonostante le lacune evidenti
di entrambe in materia di Stato di diritto. In Italia, per
esempio, non hanno aiutato le cronache piene di fatti criminali,
a torto o a ragione associati all'immigrazione romena.
Per tutti questi motivi
le nuove richieste di adesione sono accolte dalle mani avanti dei
'big', la Germania in primis. La Cdu del cancelliere Angela
Merkel chiede senza mezzi termini "una lunga pausa" degli
allargamenti in nome del "consolidamento" delle istituzioni Ue.
La Francia è sulla stessa linea: il presidente Nicolas Sarkozy ha
detto chiaramente che non ci potranno essere ulteriori ingressi
senza la ratifica del Trattato di Lisbona, concepito per regolare
la famiglia europea estesa a 27. Berlino, insieme a Vienna, ha
scelto anche di mantenere le frontiere nei confronti dei
lavoratori dei Paesi dell'allargamento 2004, attirandosi gli
strali della presidenza ceca dell'Ue. Secondo Praga - che si
appella alla Commissione europea - la decisione di Germania e
Austria è "ingiustificata".
A spingere ancora per l'allargamento c'è l'Italia, sostenuta da
Gran Bretagna e Spagna, oltre che dai Paesi dell'Est ansiosi di
accogliere nell'Unione anche gli altri Stati che erano dietro la
cortina di ferro. Recentemente il ministro degli Esteri Franco
Frattini ha presentato una 'road map' per i Balcani, che punta
sulla liberalizzazione dei visti e l'accelerazione dei processi
di adesione. Ma le riserve degli altri Stati membri sono ancora
forti, a cui si aggiungono i ritardi interni degli aspiranti Ue.
Il candidato più vicino al traguardo è la Croazia, attesa nel
2011. Ma i suoi negoziati sono bloccati da dicembre dalla
Slovenia, a causa di una disputa territoriale che potrebbe essere
sbloccata a breve. La Serbia è ferma a causa dell'intransigenza
dell'Olanda, che insiste sulla cattura dell'ex generale Ratko
Mladic prima di dare l'assenso all'applicazione dell'Accordo di
stabilizzazione e associazione (Asa). Montenegro e Albania hanno
presentato recentemente la loro candidatura, che sarà processata
senza fretta dalla Commissione. La Macedonia ha ottenuto lo
status nel 2005, ma non ha fatto progressi da allora a causa
della disputa sul suo nome con la Grecia. Il Kosovo deve fare i
conti con il fatto che non è stato riconosciuto da 5 Stati Ue su
27, oltre che con i suoi grandissimi problemi interni. La
Bosnia-Erzegovina ha ottenuto l'Asa l'anno scorso, ma vive ancora
sotto la tutela della comunità internazionale, a causa delle
tensioni tra serbi, musulmani e bosniaci.
La Turchia merita un discorso a parte. I negoziati procedono a
rilento grazie alla lentezza delle riforme interne, ma
soprattutto a causa della dichiarata ostilità al sua adesione
professata dai leader di Francia e Germania, che temono di essere
spodestate dal loro ruolo di primo piano nelle istituzioni Ue da
un Paese di oltre 70 milioni di abitanti, per di più musulmano.
Nelle intenzioni delle capitali nuovoeuropee l'allargamento Ue
dovrebbe procedere anche oltre, verso Ucraina, Moldova ed
eventualmente Bielorussia, ma tutti i tentativi di aprire una
prospettiva in tal senso sono stati fermamente respinti.
Orm - Alv