Dieci profughi ucraini ospitati, tra di loro anche una mamma lasciata senza i contributi

La vicenda Nina, per un errore, non ha ricevuto gli aiuti del Governo, e conta solo sull’aiuto di una famiglia

Un banale errore, un pasticcio burocratico. Ma tanto è bastato per mettere in difficoltà una mamma con i suoi tre figli, ospitati a Mariano, che già ha dovuto sopportare le sofferenze della guerra: da sei mesi a questa parte, Nina e i suoi tre figli non hanno ancora visto un euro degli aiuti economici promessi dal governo e possono contare solo sulla generosità di una coppia di residenti che ha aperto loro le porte della propria casa, Natalino Tagliabue con sua moglie Maria.

Tutto ha inizio a fine febbraio quando le prime immagini del conflitto vengono rilanciate dai giornali nazionali e non solo. Di origini ucraine, Maria si mette in contatto con la figlia Oksana, come lei scioccata dal fatto di risvegliarsi in guerra. Inizia così per entrambe un lungo viaggio che le porta in Polonia dove si ritrovano nel campo allestito sul confine da cui ripartono per Mariano insieme ad altre due mamme, Nina e Natalia, e i rispettivi figli.

Presto la casa di Mariano si anima delle voce dei sette bambini, colorandosi delle sfumature più accese dei peluche a loro regalati per affrontare i momenti difficili, anche quelli in cui chiedono del papà. Passata l’ondata emotiva è rimasta la quotidianità da affrontare grazie anche agli aiuti disposti dal Governo, ossia 300 euro al mese per ogni adulto, 150 euro per ogni minore per tre mesi. Subito la famiglia si attiva per richiedere l’erogazione del contributo alle tre mamme.

Il primo passo è andare in Questura per ottenere il permesso di soggiorno necessario per chiedere il sostegno. Qui, però, sbagliano a scrivere la città di nascita di Nina. Un errore banale che, notato e corretto in pochi giorni, blocca gli ingranaggi della macchina delle burocrazia che si è fatta digitale per agevolare le pratiche, salvo non riuscire a superare il problema in sei mesi di email, telefonate e incartamenti, lasciando il sostegno sulla carta.

«Il problema non è la difficoltà di utilizzo della piattaforma realizzata dalla Protezione civile per raccogliere le domande, ma che quando chiami il contact center per spiegare l’accaduto, nonostante sia tutto registrato, rispondono che non possono leggere l’email inviate e questo tronca ogni conversazione sul nascere» spiega Natalino alle prese con una richiesta che lo impegna come un secondo lavoro.

Alla fine, però, Nina può contare solo sulla generosità della famiglia che certo non può durare sine die. «La Caritas passa il pacco alimentare» aggiunge la moglie Maria che scioglie la tensione in un pianto. Perché dopo aver visto coi propri occhi la realtà di un campo profughi, non riesce a confrontarsi con una burocrazia insensibile alle storie. «Speriamo così di riuscire a smuovere qualcosa».

© RIPRODUZIONE RISERVATA