«Io, picchiato dai calabresi di Cantù
Ho rischiato di perdere un occhio»

Processo ’ndrangheta - In aula la testimonianza dell’unica persona che si è costituita parte civile. E il titolare di uno dei bar vittime dei clan smentisce se stesso: «Mai ricevuto atti intimidatori»

Chi si trova a dover testimoniare in un processo a carico di presunti affiliati alla ’ndrangheta, e di coimputati accusati di violenze con il metodo mafioso, ha due strade. O fare come l’ex titolare del bar Commercio di Cantù, che in aula ha negato le sue stesse parole - rese ai carabinieri due anni fa - spingendo il presidente del Tribunale ad ammonirlo: «Non prenda in giro nessuno». Oppure fare come un giovane erbese, uscito con le costole rotte e una lesione all’occhio per le botte prese - ha denunciato - da sei degli imputati a processo, pronto ieri a confermare parola per parola quanto denunciato a suo tempo.

Si respira un clima teso, nell’aula del Tribunale di Como dov’è in corso il processo per le violenze legate alla movida canturina, violenze - accusa la Procura antimafia, grazie all’inchiesta dei carabinieri di Cantù - orchestrate dalla ’ndrangheta per poter mettere le mani sui locali attorno a piazza Garibaldi.
Una pagina su “L«Provincia” di mercoledì 23 gennaio 2019

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