L’omicidio di Cantù
Giovanni cercò di salvare
figlia e nipote dalla droga

Nel 1988 legò Laura in casa per evitare che andasse dagli spacciatori. Poi fece da padre a Luca, che però aveva gli stessi problemi della madre

«Nessuno può costringere uno che si droga a curarsi, o tenerlo lontano dagli spacciatori».

Giovanni Volpe lo diceva già nel 1988, fuori dall’aula di tribunale. In quel caso non parlava del nipote Luca, nato poi nel 1992, e ora in carcere accusato di aver ucciso con tre coltellate il nonno nel tardo pomeriggio di venerdì nell’abitazione di via Monte Palanzone a Vighizzolo, ma della figlia Laura, la madre di Luca, allora ventenne.

Giovanni Volpe, assieme alla moglie Ornella, quel giorno di settembre di trent’anni fa era sul banco degli imputati, accusato di sequestro di persona. Perché il bidello della scuola media Turati, quella volta, aveva legato la figlia Laura con una catena al divano, per evitare che andasse a comprarsi l’eroina. «Comunque vada a finire, è una vittoria della droga - aveva detto ai cronisti Giovanni Volpe, fuori dall’aula di tribunale - Nessuno può costringere uno che si droga a curarsi, o tenerlo lontano dagli spacciatori. Mi assolvono o mi condannano è uguale: che ne sarà di mia figlia? E’ vero, l’abbiamo legata di notte, ma credete che io dormissi?».

Quel giorno fu condannato assieme alla moglie a tre mesi di carcere, con il giudice che riconobbe tutte le attenuanti del caso. Soprattutto, l’attenuante principale: l’amore nei confronti della figlia. Perché a lui, Giovanni, interessava solo una cosa: il recupero di Laura. E quando gli toccò, o meglio, volle fortemente prendersi carico anche di Luca, il nipote ormai solo e che aveva gli analoghi problemi con la droga della madre, fece la stessa cosa.

Sul quotidiano La Provincia di lunedì 19 marzo due pagine speciali sull’omicidio di Vighizzolo

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