Che razza di soluzione è la morte?

Il caso di Eluana Englaro ci tocca tutti in profondità

E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace un’onta» diceva R. M. Rilke in un suo stupendo verso. E infatti continuano, incalzando l’opinione pubblica, ad avvicendarsi i richiami dei benpensanti a stendere - per un malinteso senso di pietà - una coltre di silenzio sul caso di Eluana Englaro. Ma esso tocca talmente in profondità il senso del vivere e del morire degli uomini da essere per sé stesso di dominio pubblico. Non c’è in ballo una storia privata da risolvere con principi ispirati all’individualismo più spinto, ma la storia di tutti con le conseguenze a cascata che la sentenza della Cassazione, di fatto, provocherà.
Vorrei testimoniarle una tristezza tutta umana che mi ha colpito e che mi segue da qualche giorno provocandomi un sacco di domande. Una tristezza acuita anche dalle rassicurazioni di certi medici che si affannano a spiegare che Eluana non soffrirà nel morire di fame e di sete perché le sue condizioni di incoscienza non le permetterebbero (il condizionale è d’obbligo) di provare dolore e perché saranno messi in atto tutti gli accorgimenti farmacologici in modo che questo non avvenga; col paradosso che se finora non sono stati usati farmaci per tenerla in vita, se ne useranno per condurla dolcemente alla morte. Ma a cosa servono se Eluana "non prova nulla"? A "calmierare" la nostra coscienza e quella di chi dovrà assistere agli spasmi di un corpo che insistentemente chiederà di vivere? …«E tutto cospira a tacere di noi, come si tace un’onta».
Non basta a consolare la tristezza che mi ha assalito nemmeno la rassicurazione sulla presunta volontà della ragazza di farla finita che, in tal modo, verrebbe esaudita. Bella consolazione: a una vita, difficile, drammatica, ma pur sempre vita, si trova come soluzione la morte. Che razza di soluzione è la morte? Tutta la storia del pensiero umano e l’evidenza testimoniano che la morte è il problema irrisolvibile: come fa a tramutarsi in una soluzione? Alle soluzioni è connaturata una soddisfazione come effetto. Ma qui? Dov’è la soddisfazione?
Dalla tristezza che mi lascia sgomento, vengo ripreso alla causa della speranza dalla lettera che le suore della clinica "Beato Luigi Talamonti" hanno scritto dicendosi disponibili a tenere Eluana. Una voce, quella delle suore, flebile e potente nel contempo che impedisce che «tutto cospiri a tacere di noi» e ci si possa porre da uomini di fronte al problema del dolore e della sofferenza prendendo il toro per le corna. Non negano l’esistenza della sofferenza e del dolore, ma vi si pongono di fronte con qualcosa di più forte che li vince abbracciandoli.

Nicola Cappi
San  Fermo

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