Io, semplice operaio, per i politici resto un numero

La mia opinione non conta quasi niente

Cara Provincia,
vorrei esprimere la mia opinione personale riguardo quanto è successo prima, durante e dopo le elezioni del 13 e 14 aprile 2008. L’aria che si respira in questi giorni in tutta Italia è chiaramente un’area di insoddisfazione, di rabbia a stento trattenuta, soprattutto interpretata come un desiderio di svolta. Economicamente siamo messi non male: malissimo. Gli esponenti di questo o quel partito possono interpretare nel loro gergo preferito (il politichese) il voto, ma il sottoscritto è un semplicissimo operaio e per loro io rimango un numero, statisticamente irrilevante proprio perché la mia opinione conta quasi niente nella logica del potere politico.
Proprio questo fa venire rabbia: il senso di impotenza, la sensazione di non poter esprimere davvero in questa cosiddetta Seconda Repubblica, una voce forte, quella del popolo. La Lega Lombarda dice di esprimere, per esempio, la voce del popolo del Nord (e anche del Sud, vista l’affermazione del Movimento per l’Autonomia). Io credo che la gente non capisca granché di politica, ma capisce molto bene che i nostri signori politici pensano esclusivamente a confondere le acque, a distogliere l’attenzione generale dai veri problemi.
Da più parti si parla di salari e pensioni più alte, di tasse più basse, si promette e si illude la gente che presto avverrà il cambiamento, che presto avremo i soldini, il tanto agognato denaro che ci serve per campare. Poi, l’elettore sente parlare di cose come produttività, redditività del lavoro collegata ai salari. Sente parlare di ricette economiche miracolose, e come un malato di cancro attende speranzoso la medicina giusta, crede a tutto purché questo "tutto" possa alimentare una speranza, un sogno, un’illusione. Sapete dove voglio arrivare? Voglio arrivare al punto cruciale: che finché non vi sarà una svolta nella società e non nel Parlamento (sede dei più colossali imbrogli di Palazzo), non cambierà proprio niente.
Finché lavoratori e pensionati resteranno divisi a livello italiano da interessi contrastanti, finché le imprese tenderanno a restare una corporazione che lobbisticamente pensa a tutelare esclusivamente i propri interessi, finché ognuno penserà che la solidarietà sociale sia un errore da non commettere, e l’egoismo di ciascuno prevarrà sull’interesse generale, andremo verso lo sfascio della società.
Chi ruba, chi commette reati, e già entrato nella logica della prepotenza, del crimine organizzato contro un ideale di vivere comune, di civiltà cristiana che sta morendo.
La mia conclusione pertanto è la seguente: l’odio non porta altro che odio. L’indifferenza non serve a niente. La politica non risolve i problemi della gente, ma l’impegno nel sociale, la solidarietà nei confronti dei più deboli e bisognosi, i valori cristiani renderanno la nostra Italia più civile, più giusta, e più ricca di quella ricchezza che i soldi non possono comprare: l’onestà, l’impegno civile, la generosità, i valori che contano molto di più del denaro (illusione degli schizofrenici). Il resto viene da sè.

Giuseppe Gervasi
Olgiate Comasco

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